David Griffin: "Il 19 giugno del 2016? Non riuscivo a respirare"
In una lunga intervista a “La Gazzetta dello Sport”, David Griffin ha raccontato la sua avventura ai Cleveland Cavaliers, culminata con il trionfo del 19 giugno 2016
C’è un momento nella storia di una comunità che, per una serie di ragioni, ha un significato diverso da tutti gli altri.
Le lancette dell’orologio si fermano, il tempo è come “fuor di sesto” per citare Philip Dick ed ogni cosa diventa magia.
Il 19 giugno del 2016 la città di Cleveland ha assaporato questo momento al termine di una maledizione durata una vita.
Un anatema sportivo capace di affondare le proprie radici nel lontano 1964; ben cinquantadue, interminabili annate senza che The Mistake on the Lake potesse esultare per un successo sportivo che avrebbe – come sempre in questi casi – significato anche tanto altro.
Questo, appunto, fino al 19 giugno 2016.
In quella notte, infatti, i Cleveland Cavaliers di LeBron James, Kyrie Irving e Kevin Love espugnarono il parquet degli imbattibili Golden State Warriors in gara 7 delle Nba Finals, dopo essere stati sotto per 3-1 nella serie finale del massimo campionato professionistico a stelle e strisce dedicato alla pallacanestro.
All’inferno e ritorno, probabilmente una delle più incredibili pagine di questo meraviglioso sport e di quanto esso sia metafora dell’esistenza umana.
L’uomo dietro le quinte : David Griffin
Quella gioia infinità che il reame alla corte di “Sua Maestà” LeBron James poté assaporare, d’altra parte, fu propiziata da tanti protagonisti, molti dei quali dotati di ruoli meno appariscenti rispetto a quelli degli uomini da copertina, ma non per questo poco determinanti all’interno della perfetta sceneggiatura imbastita da un regista evidentemente ispirato dalla materia in questione.
David Griffin, all’epoca quarantatreenne, era il general manager architetto di quello straordinario successo e proprio lui ha raccontato a Davide Chinellato de “La Gazzetta dello Sport” le emozioni di un’esperienza unica ed irripetibile:
«Al termine di gara 7 non riuscivo a respirare. Provavo emozioni contrastanti, felice e teso allo stesso tempo. Ero contento per la proprietà che aveva speso così tanto in luxury tax. Ero entusiasta per come eravamo riusciti a piegare il salary tax in modi mai fatti prima. E’ stato fantastico vedere un’idea realizzarsi in quel modo. Però, vorrei essermi goduto di più quel momento senza essere tormentato dall’idea di cosa sarebbe successo dopo»
Il rapporto con LeBron James
«Quando hai in squadra LeBron James, il più forte giocatore in circolazione che va avanti con contratti di un anno, la pressione è indicibile. La sua presenza comporta responsabilità che non avresti in altre situazioni. E il fatto che fosse in squadra con contratti annuali ti costringe a vincere subito. E’ complicato dover pensare un anno alla volta, anche se ti permette di fare cose come esonerare il coach a stagione in corso o ribaltare completamente la squadra come hanno appena fatto, perché sai che devi fare di tutto per vincere. LeBron non ha mai voluto essere il general manager dei Cavaliers e non ci ha nemmeno mai provato. Lui, come Love ed Irving, è stato un partner importante nella costruzione della squadra, perché è un vero malato di basket e ha sempre un’opinione molto forte. Ma non è mai venuto dalla dirigenza a chiedere che facessimo qualcosa: lui vuole semplicemente essere il leader in campo perché è ossessionato dal vincere partite. Certo, nessuna star in nessuno sport ha mai avuto il potere che ha lui. Questo ha spinto Cleveland a fare le cose per l’immediato. Ma LeBron non è mai stato un problema e non è mai stato coinvolto nel processo decisionale più di quanto volessimo»
Le emozioni di Gara 7
«All’inizio, quando è tornato LeBron, è stata davvero dura perché non basta accendere un interruttore per passare dall’essere una squadra giovane che non ha mai vinto nulla ad una che lotta per il titolo. Credevamo nel nostro gruppo, quello delle Finals del 2015, e la situazione di svantaggio paradossalmente è stata ideale perché ha messo Golden State, priva di Green per la squalifica, sulla difensiva. Ma il nostro gruppo non aveva paura, anzi penso avesse bisogno di trovarsi in una situazione simile per esaltarsi. Ci siamo messi nelle condizioni di fare la storia e ci siamo riusciti»