Dal letto di Rihanna alla Cina, fino all'Anello. La redenzione di JR Smith, l'uomo senza maglia che deve tutto al papà
Si dice che nei momenti più significativi della nostra vita, il nostro cervello non riesca più a dare spazio ad ogni informazione e nella nostra testa restino solo le cose importanti che fino a quel punto ci siamo portati indietro. Ecco perchè, quando hai appena vinto il primo titolo NBA della tua carriera, le prime cose che riesci a dire sono: “Ringrazio la mia famiglia. Tutto quello che sono lo devo a loro”. È successo anche quest’anno, ma l’autore di questa frase non è LeBron James, uno che si presenta con figli al seguito alla premiazione, né di Kyrie Irving o Kevin Love, co-autori del successo Cleveland. E nemmeno di Dahntay Jones o Richard Jefferson, le due anime salde dello spogliatoio dei Cavs. Il protagonista che non ti aspetti è JR Smith, pluritatuato 31enne nato e cresciuto nel New Jersey, quello di trent’anni fa.
Si pensava che Smith, arrivato a Cleveland un anno e mezzo fa con Iman Shumpert direttamente da New York, potesse essere l’ago della bilancia delle Finals è così è stato. Più di LeBron, più di Irving e Love, il tassello deciso e decisivo è stato lui. Non a caso Cleveland ha fatto fatica quando lui non ha dato il meglio, non a caso il cambio di marcia è arrivato quando ha deciso finalmente di iscriversi alla serie. Costanza e decisività, fattori che JR non aveva finora mai mostrato per un’intera serie. Sul talento non si discute, l’intero Stato di New York sa benissimo che di giocatori così ne passano poche volte anche da quelle parti, ma sulla propensione di Smith ad essere decisivo quando la palla scotta ci si potrebbe scrivere più di un libro.
“Sono orgogliosa di mio padre, sta giocando bene e non si è ancora fatto buttare fuori”. Nelle parole di Demi, 7 anni ed un papà ingombrante come JR alle spalle, c’è tutta la verità sul ragazzo. Uno che è passato dalle notti turbolenti di Denver (e il Colorado non è propriamente la California, per avere una notte bollente ti ci devi impegnare) all’esperienza da MVP assoluto in Cina durante il lockout NBA, e che nelle mattine migliori si risvegliava accanto ad una Rihanna a caso. A NYC ha provato a rinascere, ma per essere profeta in patria hai bisogno di ben altre possibilità. Quindi, a 31 anni, l’occasione di fare il passo decisivo. I suoi 10,5 punti di media a partita hanno aiutato i Cavs a riportare il titolo in Ohio, ma per Tyronn Lue, coach di Cleveland, Smith è stato fondamentale soprattutto sul lato difensivo del campo.
La vittoria nel giorno in cui in America si celebra the Father’s day, è la ciliegina sulla torta. “Ogni volta che hanno parlato male di me, ogni volta che hanno sporcato il mio nome in questi anni mi faceva male. Non ne soffrivo per me, ma perché sapevo che ne soffriva lui. Mio padre è stato il primo a mettermi in mano un pallone da basket. Nei momenti duri della mia vita sono sempre riuscito a rialzarmi grazie a lui, grazie all’appoggio della mia famiglia. Sono loro la mia ispirazione”. C’è chi dice che vaghi ancora per le strade dell’Ohio senza maglietta, mostrando fiero il suo busto che pare un fumetto. Ma a noi importa poco, speriamo di rivederlo ancora così, deciso e decisivo. Con tra le braccia la sua Demi ed un titolo che vale un’intera carriera.