Da Atene a Rio, chiuso il ciclo della grande Argentina
Si è chiuso uno dei cicli più maestosi del basket mondiale. È la Generación Dorada del basket argentino, quindici anni di successi che hanno impreziosito la già superba carriera dei suoi interpreti.
L’ultimo tango
L’abbraccio commovente dei tifosi alla propria selezione al termine della sfida persa contro Team USA, è un grazie che ci sentiamo di dare anche noi, nati a più di 10000 chilometri di distanza da Buenos Aires. Destino ha voluto che fosse proprio Team USA a chiudere questo ciclo che toccò uno dei suoi punti più alti proprio contro la selezione statunitense. Ginobili e compagni furono la prima squadra a battere una selezione composta interamente da giocatori NBA nei mondiali del 2002, chiudendo con l’argento dietro la Jugoslavia in una gara tiratissima e dopo un overtime. In quel frangente fu tracciata la strada verso il trionfo olimpico di Atene 2004, con Manu trascinatore del gruppo già dalla preparazione all’impegno olimpico, quando nel luglio di quell’anno (inverno in Argentina), guidava i riscaldamenti con tanto di eskimo. Rubén Magnano (attuale coach del Brasile) guidava un gruppo di professionisti, tra cui Sconochini, Scola, Oberto, Nocioni, Delfino, Prigioni non certo abituati ad allenarsi in condizioni climatiche simili. Ci ricordiamo bene la finale olimpica di quell’anno, e tendiamo a ricordarla come un successo per la nostra Italia sconfitta in finale, ultima soddisfazione cestistica dell’ultimo decennio. Un successo difficile da ripetere, considerato l’impegno sempre crescente di Team Usa nella caccia all’oro a cinque cerchi. L’esperienza NBA di alcuni di quei giocatori ha giocato sicuramente un ruolo fondamentale
Da chi ripartire?
È chiaro che una generazione di fenomeni del genere è piuttosto rara, ma sappiamo anche che la forza de “l’Alma” è sempre stato il gruppo, cementato negli anni e rafforzato dai vari successi. Si deve ripartire proprio da quel senso di unione unico dello sport argentino vero segreto del loro successo, che ritroviamo anche nel rugby fino ad arrivare al polo. In quanto a talento invece come non parlare di Campazzo. Un metro e ottanta ma tanta sfrontatezza, dimostrata anche a inizio gara contro Team USA quando sembrava che l’albiceleste potesse compiere un’altra delle sue imprese. Troppo talento però nella macchina made in Usa, guidata da un sontuoso Kevin Durant. A quattro minuti dalla fine in campo anche l’immediato futuro della selezione argentina con Garino, Lapravittola, Deck e Brussino. Campazzo ha dimostrato di sapersi accendere in qualsiasi momento ma manca ancora di continuità e esperienza ad altissimi livelli. Il materiale a disposizione, per ora, non sembra sufficiente a garantire un futuro tanto roseo a questa selezione. La fisicità è un altro punto debole ed una cosa su cui si potrà lavorare fino a un certo punto. Questi giovani dovranno dimostrare di avere spalle abbastanza grosse per poter sfondare la porta dell’inevitabile scetticismo degli addettibai lavori. L’eredità lasciata rischia di essere pesante e di difficile gestione per le generazioni a venire, ma sopratutto malinconica, come le parole di congedo dalla nazionale di Manu Ginobili: “Me ne vado con il cuore bello pieno”. Salutiamo questa grande generazione di fenomeni con la consapevolezza che siamo stati testimoni di una grandiosa era del basket mondiale.