Cosa ci resta della serie tra Warriors e Jazz
Utah e Golden State sono a riposo già da un po’, coi Jazz in vacanza e i Warriors che si stanno godendo le ultime ore di riposo prima di tornare in campo per le Finali di Conference.
Avversari saranno i neroargento dei San Antonio Spurs, una vera e propria macchina alimentata da 20 anni con lo stesso carburante e pronta a mettere almeno il bastone tra le ruote dei californiani.
Dall’altra parte, invece, il secondo turno dei Playoff ha lasciato più di una certezza, con lo sguardo rivolto al futuro immediato e alle necessarie scelte.
1 – IL FUTURO DI UTAH – È vero, il 4-0 finale potrebbe essere inclemente, ma lo è solo per chi la serie non l’ha vista. Utah c’è stata in campo e, soprattutto, c’è stata a testa alta. Alzi la mano chi avrebbe scommesso un euro su almeno una gara vinta: il sottoscritto. Così non è stato, ma conta poco. Alla fine resta la sensazione di una squadra che non ha lasciato il passo e non si è mai arresa, fino alla fine.
Certo, nelle gare interne ci si aspettava qualcosa in più, ma d’altra parte i Warriors non sono favorevoli a perdere troppo tempo quest’anno. Alla prima in California, però, un piccolo brivido ai presenti è arrivato, perché i Jazz proprio non ne volevano sapere di arrendersi.
Bene così, il progetto avviato qualche stagione fa sta andando avanti nel migliore dei modi e con l’inserimento di giuste pedine (per il sottoscritto Diaw su tutte, molto più incisivo di quanto dicano i numeri), si può ancora migliorare.
2 – L’IMPORTANZA DI DRAY GREEN – L’uomo ovunque. Ovunque in campo e ovunque nelle teste dei suoi. Sul parquet è decisivo in almeno due episodi su quattro, nei parziali importanti dei suoi ci sono Steph o Klay o KD. In alternanza, però, perché lui c’è sempre. Una schiacciata, una tripla, una stoppata. Spesso tutte e tre le cose.
Dalle parti di San Francisco sono preoccupati perché a breve potrebbe bussare alla porta e chiedere un contratto da superstar: beh, non sarebbe poi così sbagliato.
Resta la carta che può far saltare il banco: dove giocherà ora con gli Spurs?
A Kerr (e a Brown che va in panchina) spetterà la decisione, ma 4 o 5 che sia, il suo apporto arriverà sempre.
3 – LA VOGLIA DI KD – Poteva sembrare un caso al primo turno, si è ripetuto al secondo. Allora caso non è. Se le cose si fanno difficili o, quantomeno, combattute, la spinta offensiva è sua, l’ego del marcatore è suo, sua è la voglia di azzannare l’avversario.
17 nel primo episodio, 25 in Gara 2, i mortiferi 38 di Gara 3 che ha praticamente chiuso la serie. Kevin Durant è la voglia di vincere fatta persona, ma è anche quello che meno degli altri sa farlo. La doppia faccia di una medaglia sottilissima.
4 – I LIMITI DI HAYWARD – Un giocatore in estrema crescita negli ultimi anni, eppure ancora troppo assente quando la palla scotta. Guardate Lillard contro i Warriors al primo turno, prendete Thomas o Wall nel faccia a faccia per accedere alle Finali ad Est: Gordon non ha la loro stessa faccia tosta, ma il talento è innegabile.
33 punti in Gara 2 potevano valere di più, ma tant’è. Nei momenti di maggiore difficoltà Utah s’è appoggiata all’esperienza di JJohnson o alla voglia di Ingles.
Il futuro è ancora a Salt Lake City?
5 – SENZA KERR O CON KERR – Rischia di essere il grande assente di questi Playoffs perché, va bene i comunicati, ma oramai la storia s’è capita. Mancherà anche con gli Spurs, almeno nei primi due episodi in California, mancherà per quei maledetti problemi alla schiena che non gli lasciano un attimo ormai da oltre un mese.
Contro Popovich potrebbe essere un problema, ma fino a qui, tra Portland e Utah, la sua assenza è stata arginata dall’eccessivo talento dei suoi. Brown non ha molto da dire, si limita a dare indicazioni, lasciarli fare, ma l’autogestione non può durare per sempre.
Soprattutto in gare importanti e a più alto livello come quelle che da domani sera aspettano i Warriors.