Come un tuono
“Un indizio è un indizio, due sono una coincidenza, ma tre indizi sono una prova”, diceva una famosa giallista. Ma mai come in questo caso non si ha bisogno di investigatori e criminologi, benché la vita di Russell Westbrook assomigli molto ad un romanzo.
Ebbene eccoci qua. Tre partite, tre indizi, tripla doppia di media. Tre lettere riecheggiano melodicamente, scandite dai quasi 20.000 della Chesapeake Energy Arena di OKC: M-V-P.
38,7 Punti. 12,3 Rimbalzi. 11,7 Assist. Qua si viaggia su un’altra frequenza, questa non è roba per tutti.
Ma d’altronde sono passati pochi giorni dall’inizio della stagione, solo un folle potrebbe trarre conclusioni da tre partite di regular season, diranno in molti. Per altro ne avrebbero ben donde.
Infatti non sono i 115 minuti giocati finora a far riflettere, tanto meno i 6 incontri di preseason (dove, nella sfida al Real Madrid, ha letteralmente annichilito, tecnicamente e fisicamente, la sua copia europea, tale Sergio Llull… Un altro “matto da legare” che tende a spostare un paio di equilibri nei 40 minuti sul legno).
E allora su cosa si baserebbero queste allusioni sul numero 0? Innanzitutto sul suo passato. Magari partendo proprio dal suo numero, lo zero: “Usi lo zero quando ti è successo qualcosa che ti ha segnato e cerchi un nuovo inizio. Ti aiuta a ripartire. Ti restituisce il tuo carattere.” dice Russell.
Perse il suo migliore amico, che era un prospetto decisamente migliore di lui, a soli sedici anni. Con lui sognava di andare a UCLA e diventare un atleta NBA. Peccato che, una volta arrivato all’High School, non ricevette alcuna lettera dai college fino all’estate prima del suo anno da Senior.
Per giunta da College di secondo (o terzo) piano.
Tutto ciò fino a quando Jordan Farmar, visto più volte in Europa, non decide di lasciare il College per l’NBA, liberando un posto da playmaker proprio nella sua amata UCLA.
Ai Bruins si pensava non fosse affidabile, l’ambiente lo criticava e non era preso in considerazione per i draft imminenti. Fino a che, complice l’infortunio di Collison (oggi ai Kings) esplode nel suo anno da Sophomore, per essere poi scelto alla numero 4 dagli allora Seattle Supersonics, nel meraviglioso draft 2008 di Rose, Love e Gallo. Ma soprattutto di JaVale McGee.
Russell è uno duro, tenace.
Ha lavorato più di tutti per arrivare dov’è, non ha mai preso scorciatoie e non è mai stato il favorito nelle battaglie che ha combattuto. Però le ha sempre vinte.
90kg di muscoli che vanno più veloce e più in alto di tutti. Nella lega con i migliori atleti del mondo, lui è forse il numero 1. Da secondo violino di SUPER lusso a Re di Oklahoma City il passo è stato breve. Abbandonato a se stesso dai suoi compagni d’avventure (Ibaka e Durant) ha risposto solo “Now I do what I want”, peccato (per gli avversari) che più che al ritornello di una canzone, assomigli ad una minaccia per le 29 franchigie che vorranno provare a fermarlo.
Non si ferma un treno lanciato sui binari.
Corri come un tuono, Russell. La Lega è tua.