Clippers, i perché Griffin&co sono i più odiati della Lega
Howard Beck, esperto di NBA di Bleacher Report, ha provato a spiegare i motivi che hanno portato i Los Angeles Clippers, squadra potenzialmente da titolo e con giocatori di caratura e spettacolarità assolute come CP3 e Blake Griffin, a diventare i meno sopportati degli States. Andiamo a sintetizzare il suo pensiero al riguardo.
Secondo Beck, innanzitutto, i Clippers sono “THE hated team“, e sono odiati da chiunque nella Lega: dagli altri giocatori ed allenatori ai proprietari, finanche dai venditori di pop corn. “La squadra più odiata in assoluto“, “Qualcosa su di loro? Sono irritanti“, “In questa stagione di gioie e regali, sono come il carbone nella calza della NBA o i capelli nel vostro zabaione“. Sono solo alcuni dei giudizi che girano nell’ambiente sugli angeleni. Non hanno un gioco brutale come i Pistons dei Bad Boys, o facili alle risse off-court come i vecchi Portland “Jail” Blazers, non sono fanatici del Trash Talking (anche se non lo disdegnano). Ma sono odiati.
Ciò che dà molto fastidio a chi è esterno ai Clippers, è il loro “lamentarsi” in continuazione, soprattutto con gli arbitri, in particolare se stanno perdendo. All’esatto opposto, segue il loro poco rispetto per gli avversari quando, invece, sono ampiamente avanti nel punteggio. “Se sei così bravo, non ti serve fare il buffone“, ha commentato un veterano della Lega. Ancora, alla gente non piacciono i troppi fallimenti di stelle come Paul e Griffin.
Eppure, continua Beck, tutto ciò è molto strano. Coach Rivers è tra i più amati della Lega, Paul e Griffin sono enormemente popolari tra i fan; giocatori come Crawford o Wesley Johnson sono persone stupende; DeAndre Jordan, eccetto che a Dallas, non è considerato un cattivo ragazzo. Fuori dal campo, i Clippers piacciono, anche stando a quel che dicono i loro peggiori critici. In campo, però, c’è spazio solo per l’odio nei loro riguardi. “Li odio! Onestamente, non li sopporto proprio“, ha detto DeMarcus Cousins. E il punto sul quale si martella è sempre quello: le troppe lamentele e polemiche sulle decisioni arbitrali. Ciò si evince dal fatto che, secondo tanti, se esistesse una classifica per queste cose, i Clippers dominerebbero senza problemi, con Paul e Griffin in cima alle classifiche individuali. Non è da meno coach Rivers, definito come uno che “arbitra la partita dall’inizio alla fine“. Tutto ciò, sostiene Beck, si ritorce contro i Clippers. Richiamando la stagione 2013-14, evidenzia come i Clippers si siano visti fischiare contro la bellezza di 146 falli tecnici derivanti solo da decisioni disciplinari, con Griffin capofila a quota 36. Questo è il pensiero di Reggie Miller: “Bisogna andare all’origine per capire tutto ciò, ovvero che i Clippers, in 48 minuti di gioco, si lamentano praticamente su ogni chiamata degli arbitri. Non ce n’è una che lascino passare“.
Il White Mamba, al secolo Brian Scalabrine, allenato da Rivers ai Celtics, ha provato a spiegare quest’ambiguità negli atteggiamenti del suo ex allenatore: “Penso che li aiuti ad ottenere delle chiamate. Ma soprattutto, motiva i suoi giocatori, con una mentalità da ‘noi contro il mondo’, compresi gli arbitri“. Questo atteggiamento porta la squadra ad essere odiata da tutti gli avversari, “facilitando” il compito di Rivers, almeno riguardo alla motivazione. Infatti, continua Scalabrine: “Se gli altri ti odiano, non devi motivare i tuoi“.
Beck passa, quindi, ad analizzare alcuni componenti del roster, partendo da Blake Griffin. Il nativo di Oklahoma City viene, giustamente, esaltato per il suo fisico imponente (2.08 cm per 114 kg), unito ad un’agilità e ad un atletismo fuori dal comune, che lo portano ad essere devastante in fase offensiva. Il guaio, sottolinea Beck, è quando si passa alla difesa, dove troppe volte Griffin simula o amplifica enormemente contatti che su di lui non dovrebbero avere effetto alcuno. “A volte, sembra che sia stato ucciso“, dice Jared Dudley. All’interno dei Clippers, però, Griffin viene difeso, sostenendo come la sua immensa forza lo renda vittima più che aggressore, comportando una difficoltà accentuata per gli arbitri nel vedere eventuali falli. A sostegno di ciò, si indica come, in questa stagione, Blake sia penultimo nei tiri liberi a partita tra i giocatori con almeno 30 minuti e 23 punti.
Passando a CP3, egli viene definito come “… non il peggiore della Lega, ma di certo non il ragazzo perfetto che i media vogliono dipingere“. In particolare, del prodotto di Wake Forest viene sottolineata la sua abilità nel giocare sporco senza farsi beccare, oltre ad una sinistra tendenza ai “falli di rappresaglia”. Dice Redick: “Quando Paul era mio avversario, non mi piaceva affatto. Diventato suo compagno, ho imparato ad amarlo“. Coach Rivers: “Chris è un giocatore intelligente, non sporco. Non farebbe mai male volontariamente a qualcuno. Lui è come Stockton. Se diciamo che Paul gioca sporco, allora lo faceva anche Stockton“. Interrogato in proposito di recente, ecco la reazione del diretto interessato: “Io non gioco per piacere a tutti. Ho abbastanza amici, sai cosa voglio dire?“.
Eppure, fino ad un paio di anni fa, i Clippers erano tra le squadre più amate. Prima l’invenzione, nel 2011-12, del “marchio” Lob City; poi, nel 2013-14, la vicenda Sterling e la splendida serie di Playoff con i Warriors. Dalla popolarità, si è passati, poi, all’antipatia assoluta. La parola che spesso ricorre, quando si parla dei californiani, è “Antics“, “Buffonate”; a nessuno piace il loro modo di celebrare le schiacciate o giocate simili. Beck conclude chiedendosi se ai Clippers piacciono i Clippers. Spesso girano voci di contrasti tra Paul e Griffin, o tra quest’ultimo e Jordan; CP3 è uno che critica più volte i compagni in una partita. Spesso si urlano contro sia in campo che negli spogliatoi. Redick è definito a sua volta un trash-talker di tutto rispetto. La scorsa estate, il front-office ha sostituito un carattere forte come Barnes con Stephenson, molto simile, e ha firmato “The King of Trash-talk“, ovvero Paul Pierce. Sembra quasi una squadra costruita apposta per far arrabbiare, dice Beck. A chiudere la discussione, ecco le parole di DeAndre Jordan: “Tutto ciò funziona, perché si parla sempre di noi. Ma non so il perché ci odiano. In fondo, non abbiamo vinto nulla“.