Cavs, da Blatt a Lue con il precedente Brown. LeBron ha bisogno di un altro Riley
La notizia è arrivata nel venerdì sera (italiano) come un fulmine a ciel sereno: David Blatt non è più head coach dei Cleveland Cavaliers. La terza squadra migliore – per rendimento – della stagione in corso che licenzia il suo allenatore, lo stesso che lo scorso anno è arrivato fino alle NBA Finals e che quest’anno poteva vantare un record di 30-11, il migliore ad Est con conseguente primo posto nella Conference.
La notizia che ha più stupito, però, è arrivata qualche minuto dopo: a prendere il suo post nessun allenatore esterno, ma anzi sarà Tyronne Lue, secondo di Blatt e che adesso sarà primo interprete della panchina in Ohio con un contratto di tre anni evidentemente già in fase di preparazione da un po’.
Eppure la scelta di Lue non dovrebbe sembrare strana: rivestiva il ruolo di assistant coach più pagato dell’intera Lega, era uno dei candidati principali alla panca prima della scelta di Blatt quasi due anni fa, e soprattutto conosce il gruppo, è rispettato da tutto il roster e può offrire molta esperienza tra campo e panchina.
Tutti ingredienti sacrosanti, ma che fanno però egualmente storcere il naso; da dove viene fuori una scelta del genere per una squadra che, al netto di alcune difficoltà strutturali, è avviata verso i Playoff e molto probabilmente le seconde Finals in due anni?
Il pensiero è subito andato a LeBron James; ovvio, è il capitano, il volto e l’uomo più importante della franchigia, e tanto basta per poterlo ritenere il primo “responsabile” di questa scelta. Tutti conoscono il peso che il numero 23 ha nelle decisioni della franchigia, eppure non pare il primo indiziato della vicenda.
Che il rapporto tra la stella e Blatt non fosse idilliaco lo sapevano tutti; LeBron non riteneva il coach capace di portarli all’anello già lo scorso anno, ma visti i Playoff e l’epilogo della vicenda aveva deciso di lasciare spazio al tecnico, con i Cavs convinti ad inizio anno della scelta fatta. Negli ultimi mesi, però, alcune cattive prestazioni di squadra avevano portato James ad assumere sempre più il controllo dello spogliatoio e della squadra, fuori così come dentro il campo, come certificato da alcuni timeout evidentemente richiesti da lui; il 23 era solito confrontarsi proprio con Lue e non con Blatt, e le parole di Brendan Haywood (“Coach Blatt ha sempre temuto LeBron”)– lo scorso anno ai Cavs – sul rapporto James-Blatt hanno solo certificato le sensazioni di un head coach incapace di tenere a bada il suo miglior giocatore.
Risultato: Lue diventa head coach con i favori di LeBron, i Cavs proveranno la scalata all’Olimpo, ma la prima uscita non è delle migliori. Sconfitta interna coi Bulls corsari e già insofferenza di un tifo che non deve aver accettato di buon gusto il licenziamento di Blatt; mancano 40’’ alla chiusura del terzo quarto, Jimmy Butler ha appena segnato il 72-55 di vantaggio per Chicago e dalle scalinate piovono i primi fischi.
Nessuno sa come andrà a finire la stagione, eppure questa storia ci pare di averla già vista: prima dell’arrivo di Blatt in Ohio, infatti, i Cavs avevano già dato un benservito relativamente inspiegabile. Era il 2009/10, Mike Brown (uno che a LeBron piace molto) aveva guadagnato un record da 61-21 portando Cleveland fino alle Finali di Conference, ma per la franchigia non fu abbastanza.
Esito diverso aveva invece avuto il rapporto LeBron-Spoelstra; negli anni a Miami il King non sembra aver mai legato realmente con l’allenatore oggi ancora sulla panchina degli Heat. Ma alle spalle nessun Griffin a fare da mozzato re di teste, anzi un Pat Riley capace di ricucire gli strappi dopo le prime Finals perse e di creare un gruppo solido che vincerà poi due anelli in quattro anni.
Quando il manico fa la differenza, non c’è allenatore, stella o sconfitta che tengano.