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Blake Griffin: "Come ho migliorato il mio gioco"

Schoacciare non è più l'unica soluzione (foto da: www.rantsports.com)
Schoacciare non è più l’unica soluzione (foto da: www.rantsports.com)

“Ragazzi, è doloroso. E ‘doloroso quando si dice che non ho intenzione di farlo. Basta guardare come esco dal time out, sotto di due, a due secondi dalla fine. Potete leggermi lo schema in faccia, al grido di “Sì, sto per andare in post up sulla linea dei tre punti, prendere palla spalle a canestro, fingendo di passarla a CP3 (nah), girare intorno alla linea con un hop-step e lasciar andare la tripla prima di inciampare di nuovo in prima fila. ”

Comincia così l’articolo scritto da Blake Griffin per ‘The Players’ tribune” in cui la star dei Clippers spiega l’evoluzione del suo gioco negli ultimi anni. Non più un semplice schiacciatore, ma un giocatore offensivamente completo, in grado di giocare in post e prendersi, alternativamente, anche tiri dalla media-lunga distanza.

“Se mi piace schiacciare? Certo. Lo faccio per i bambini. Ma onestamente, non c’è niente di più appagante che mandare a bersaglio un jumper. Le persone mi hanno detto che non so tirare da quando sono entrato nella lega. Skip Bayless disse che non sarei mai stato niente di più che “il Dennis Rodman dei poveri”, ricorda Griffin che sottolinea, poi, come e quanto abbia lavorato duro per costruirsi un piazzato affidabile insieme all’allenatore Bob Thate: “Come si cstruisce un palazzo? Mattone su mattone”.  Si passa poi ai dettagli tecnici che Blake ha dovuto correggere volta per volta: dalla costruzione del tiro nella fase ascensionale del salto al non portare la palla troppo dietro la testa, passando per la corretta arcuatura della parabola. Il tutto sotto lo sguardo vigile di Thate: “Non stava nemmeno a guardare se la palla entrava o meno. era lì solo per studiare la mia posizione e quella del mio corpo. Era inquietante”.

Un lavoro maniacale e ai limiti del perfezionismo. Indispensabile se si vuole fare la differenza nella Nba: “Quello che alcune persone non capiscono è che ci vogliono centinaia di ore per fare una piccola differenza a questo livello. Perché? Poiché altri ragazzi stanno lavorando come e più duramente di te per fermarti”.

E, infine, una monito, per se e per gli altri: “La sfida più difficile sarà sempre a livello mentale. Bisogna dimenticare il successo del momento e rimettersi a lavorare duro. C’è una citazione che mi piace molto e che descrive perfettamente tutto questo: Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale. E ‘il coraggio di continuare a che conta”.

E vi state ancora chiedendo perché Blake è diventato il giocatore che è oggi?

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone