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Big time players make big time plays - Ode ai Playoff

No, non disturbatevi, restate sulla sedia. Signori mi presento, sono la postseason. Non son fatto di ossa ma di quarti che vi lascino rimborsati o soddisfatti. Il mio cuore è chiamato trama, giocatori che si odiano e che si amano. Il mio sangue è tutto ciò che accade, dal buzzer beater al duello tra due squadre. Il mio cibo è il vostro battimani, il veleno, i giocatori cani […]. Ma l’ora dei preamboli è finita, è ora che si vada ad incominciare. A tessere la trama e poi l’ordito, a vincere, segnare ed esultare; che squillino le trombe signori spettatori, iniziano i Playoff 2016, che parlino gli attori“.

Ci siamo. Se conoscete il Cyrano de Bergerac sapete che questa non è la sua introduzione ufficiale. Ma è la nostra, quella di chi in questo periodo non riconosce più il giorno e la notte, scambiando inevitabilmente le due fasi vista e considerata la posizione geografica in cui si trova. Si inizia a fare davvero sul serio, nonostante la regular season abbia regalato una dose sufficiente di sorprese e di cose letteralmente irripetibili. “BIG is NOW” usano dire dall’altra parte dell’oceano. Sì, perchè il bello, le cose che contano arrivano adesso. Non vi aspettate il consueto articolo in cui leggete le chance di vittoria di una squadra su un’altra, di come i tiratori stiano numericamente cambiando il Gioco o di come Spurs-Warriors (eventualmente) sia una finale NBA mancata. Nulla di tutto questo. Questa è un’ode a quella sottocategoria di pallacanestro denominata Playoff, quella che ci fa letteralmente impazzire. Lo vogliamo dedicare a tutti, nessuno escluso: a chi sceglie di studiare per riempire il vuoto che separa la vita normale dall’inizio di una gara delle 04:30, a chi esce ma tassativamente deve rientrare 15′ minuti prima della palla a due per entrare in ottica partita, a chi non resiste alle pause lunghe dei timeout e crolla nonostante tutto, a chi non riesce a scegliere tra Warriors e Spurs e a chi ancora crede in LeBron e nella sua favola del titolo a Cleveland, a chi non riesce a staccarsi dagli stendardi del TD Garden, a chi piange ancora per il ritiro di Kobe e per le sorti dei suoi Lakers. A tutti, nessuno escluso.

Big time players make big (time) plays in big (time) games” è ormai un’espressione idiomatica usata in gergo. I diritti d’autore vanno attribuiti a tale Santana Terrell Moss, ex ricevitore dei New York Jets e dei Washington Redskins (NFL). La traduzione non serve, quelle semplici parole contengono dentro tutto ciò che ci aspetta nei momenti caldi della stagione e tra poche ore inizieranno quelli roventi. Ma Moss, in fin dei conti, ha ragione? Il suo concetto di BIG TIME (momenti decisivi) è ascrivibile a quello che a tutti gli effetti per noi è The Game? La risposta non può che essere si. Perchè? Eccovi la risposta attraverso i migliori momenti (non in ordine) dei migliori giocatori NBA:

  1. Reggie Miller, grazie ad una tabellata da 9 metri sulla sirena (OT) e una schiacciata a pochi secondi dalla fine, regala la vittoria ai suoi Pacers in una gara 5 dei playoff del 2002 che passerà alla storia per aver consegnato al Gioco uno dei giocatori più clutch di sempre e per aver fatto partire quello che da lì in poi verrà chiamata “La leggenda di Miller Killer“;
    2. Jordan a Salt Lake City, gara 5, NBA Finals 19997, Flu game. Non serve aggiungere altro se non l’inchino al concetto elevato alla massima potenza di Greatness;
    3. Kobe Bryant ruba e segna in una indimenticabile serie tra Suns e Lakers. Facciamo riferimento a gara 4 del 2006, quando il Mamba decide di prendersi un tiro complesso dal gomito e, come sempre, di far tremare le pareti dello Staples Center.
    4. Restiamo allo Staples, entrando dalla porta degli ospiti stavolta: Iverson vs Tyronn Lue in gara 1 delle Finals 2001 tra 76ers e Lakers. Uno dei momenti più simbolici del primo decennio del 2000.
    5. Mettetevi comodi perchè il nome di MJ lo troverete spesso: andiamo indietro nel tempo fino al 1992, quando le Finals NBA se le giocano Bulls e Trail Blazers. Dopo il primo tempo il tabellino di Jordan dice 35 punti con 6 triple mandate a bersaglio. Serve altro?
    6. 121-103 Boston in una infernale gara 5 tra Lakers e Celtics, uno dei tantissimi scontri tra le due squadre. Siamo alle Finals del 1984 e le statistiche di Larry Bird dicono 34 punti, 17 rimbalzi, 2 assist, 2 rubate e una stoppata. Larry Legend, basta e avanza;
    7. 1991, MSG di NYC, gara 3 sopra 2-0 i Bulls del 90-91. La grande rivalità è nelle superstar, ovvero sia Jordan e Ewing. Dopo quella sera non si parlò più di MJvsPat, perchè Sua Altezza Aerea aveva sciolto ogni dubbio con un poster pazzesco dopo un’esitazione d’altri tempi;
    8. LeBron James nel 2006 è considerato tutt’altro che clutch ma diventa decisivo nel primo round dei PO del 2006, quando guadagna un’ottima linea di fondo e deposita sulla sirena i due punti partita per battere i Wizards;
    9. Finals del 1970 e il peccato veniale che commise Wilt Chamberlain nel dare spazio di manovra ad un claudicante, nonché infortunato, Willis Reed che vinse quella partita grazie proprio alla sufficienza di The Big Dipper. Knicks in paradiso e Reed nuovo idolo della Grande Mela;
    10. 7 secondi della fine, cerchi un buon tiro, è gara 6 delle Finals del 1974. Il concetto di buon tiro nei Bucks di quegli anni si chiama Sky Hook e nessuno lo eseguiva come Kareem Abdul Jabbar. Canestro della vittoria e Garden ammutolito. Uno dei tiri più belli di sempre;
    11. Da una rivalità all’altra, parlando delle finali per il titolo del 1988, quando Isiah Thomas, nonostante una brutta distorsione alla caviglia rimediata nel primo quarto, riuscì a chiudere la gara con 43 punti (25 solo nel terzo quarto). A tutti gli effetti l’Heroic Game per eccellenza;
    12. Steve Kerr e il suo “I’ll be ready, I’ll knock it down” nel timeout che decise le Finals del 1997 tra Bulls e Jazz. Penetrazione Jordan, 4 giocatori a chiuderlo, scarico per Steve che manda a bersaglio il jumper vincente. Il discorso dell’attuale HC dei Warriors è storia;
    13. Uno dei finali più inspiegabili di sempre, quello contro ogni logica. Duncan riceve dalla rimessa, non riesce a metterla nei mani dei tiratori, prende un tiro cadendo a terra e lo realizza, lasciando solo 0.4 secondi ai Lakers per vincerla. Se vi diciamo Derek Fisher possiamo fermarci? Nel 2004 successe di tutto, tra cui il 0.4 shot;
    14. Torna a far paura nel 1995 Killer Miller, con gli impossibili 6 punti in 5 secondi, con tanto di occhiata al solito fastidioso e provocatore incallito dal nome Spike Lee. Gara 1 memorabile per i Pacers;
    15. L’uomo più iconico della storia del Gioco, Mr. Logo e il suo furto con layup vincente che regalò il titolo ai Lakers nelle Finals del 1962. La storia passa sempre per le mani di Jerry West; 
    16. Gara 5 delle ECF ’87. Boston perde una palla velenosa e i Pistons possono chiudere la partita. Si, ma non hanno fatto i conti con Larry e la sua mente diabolica: anticipo sulla rimessa, furto, assist per Dennis Johnson che fa esplodere il Garden. Epicità a livelli massimi;
    17. Ancora Detroit, ancora dal lato sbagliato. Nelle ECF del 2007, LeBron James annichilisce i Pistons segnando gli ultimi 25 punti dei suoi Cavaliers. Indimenticabile il commento dell’avvocato Buffa con le “campane della storia“;
    18. Nella nostra concatenazione di eventi abbiamo citato Cleveland e, per eccellenza, chi è il peggior nemico dei Cavaliers? Michael Jeffrey Jordan. Quando tutto ebbe inizio: il buzzer beater in gara 5 del primo turno del 1989. Became legendary
    19. Da un’istantanea all’altra. Gara 6, Finals 1998: Karl Malone in post, roaming difensivo di Jordan, scippato il postino, si va dall’altra parte, Russell mandato per le terre grazie al giro a “U” e il rumore del nylon nel silenzio tombale del Delta Center. “The shot” e niente più;
    20. Qualcuno ha detto momenti decisivi e playoff insieme? State con Big Shot Rob, l’unico ad avere davvero il ghiaccio che gli scorre nelle vene. Indimenticabile gara 4 tra Lakers e Kings nel 2002, quando sullo scarico di Kobe, Robert Horry firma il canestro della vittoria;
    21. Il “Pax title” dei Bulls è uno dei turning point nella storia della franchigia e del Gioco. Per la prima volta Phil Jackson prende di petto MJ e gli dice che deve passarla se vuole vincere. Detto, fatto. Paxson converte tutto quello che c’è da segnare e manda Bulls in paradiso e i Suns all’inferno!
    22. Altro giro da Mr. Logo: è il 29 aprile, gara 3 delle Finals del 1970. Serie tra Lakers e Knicks, tra West e Frazier. New York realizza, si porta avanti di 2, le ultime speranze sono legate ad un tiro che West scocca con i piedi molto al di là della linea di centrocampo e…TIE GAME at 102! Anche Wilt esulta come se non ci fosse un domani;
    23. Da Big Shot Rob a Mr. Big Shot, Chauncey Billups. Chiedete ai Nets del 2004 se conviene lasciargli un metro di spazio anche se tira da centrocampo. A Detroit quella G5 è tuttora uno dei ricordi più belli;
    24. Quando il concetto di Big Time Plays si sdoppia in due: prima Hedo Turkoglu che gela, così come in G1, la Quicken Loasn Arena di Cleveland e poco dopo, con 1 secondo sul cronometro, LeBron James piazza una delle triple più importanti della sua carriera. L’onnipotenza logora chi non ce l’ha…  Quel 2009 così maledetto per LBJ;
    25. Avete mai visto due giocate a livello di PO perfettamente uguali? Molto difficile, eppure a Portland possono assicurare che, la sera in cui i Trail Blazers buttarono fuori i Rockets, Damian Lillard si travestì da Brandon Roy! Inimmaginabile finale al Moda Center, twice!
    26. Avete mai assistito ad una partita in cui un giocatore mette a segno più assist che punti? Molte volte, specie se è un playmaker a cui piace passare di più la palla anziché tirare. Sì, va bene. Poi a parte esiste John Stockton che contro i Lakers fece registrare 23 punti e 24 assist! Il muto che ci fa impazzire con la sola forza delle cose che fa;
    27. Da un’icona dei Jazz come Stockton ad una leggenda dei Celtics, tornando indietro di almeno 30 anni. E’ il 21 marzo del 1953 e Sir. Bob Cousy, in una partita finita al quarto OT, segna 50 punti con un pazzesco 30/32 ai liberi in 66 minuti di impiego;
    28. Ve la ricordate quella partita in cui Reed rientra in campo nonostante l’infortunio e vince il duello con Chamberlain? Ecco, Reed un fattore accertato ma in quella stessa gara Walt ‘Clyde‘ Frazier ne mise 36 con 19 assist e 7 rimbalzi;
    29. L’inizio degli anni 2000 conosce una nuova dimensione di gioco grazie a MDE (Most Dominant Ever), che all’anagrafe fa Shaquille Rashaun O’Neal. Al secondo turno del 2001 i Lakers prendono i Kings e in G1 Shaq mette le cose in chiaro: 44 punti, 21 rimbalzi e 7 stoppate. What else?
    30. Straordinari i numeri di The Diesel, vero? E se vi dicessimo che l’anno prima, alle Finals, ne mise 43, tirando 21/31 dal campo, tirando giù anche 19 rimbalzi e stoppando 3 volte? Ci credereste? Dovete…

Esistono poi delle menzioni speciali, come nel caso di Wilt Chamberlain alle ECF del, quando segnò 56 punti e catturò 35 rimbalzi, o come Tim Duncan, autore di una G1 nelle Finals 2003 da 32 punti (11/17), 20 rimalzi, 6 assist e 7 stoppate, sfiorando la quadrupla doppia. Ma l’elenco non si ferma qui perchè non possiamo dimenticarci del 2011, quando Dirk nelle WCF contro i Thunder, sfoderò una prestazione da 48 punti (12/15), 6 rimbalzi e altrettante stoppate. Come non possiamo fare a meno di Kareem Abdul-Jabbar e della sua G2 nelle WCF del 1974, quando chiude con 44 punti (20/29) e 21 rimbalzi.

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E poi ci sono quelle pietre miliari che non dimenticherai mai, quelle che hanno probabilmente ispirato Moss e quelle che tuttora fungono da ispirazione ai più grandi campioni.

Sir. Chuck (arhe.com)
Sir. Chuck (arhe.com)

Iniziamo da G3 delle Western Conference Finals 1994, quando Sir. Charles Barkley realizzò una delle più incredibili performance in maglia Suns: 56 punti, tirando 23/31 dal campo e catturando 14 rimbalzi. Barkley pareggiò la seconda miglior performance di sempre nella stroria dei PO, quando MJ ne segno proprio 56 contro i Warriors nei playoff dello stesso anno.  La prestazione di “Chuck” fu incredibile non solo per quel pazzesco 74.2% col quale tirò dal campo ma soprattutto per via dell’intensità costante che mise in quella partita finita 140-133.
A far compagnia a Sir. Charles c’è tale Elgin Baylor, hall of famer e leggenda dei Lakers. Proprio con la canotta angelena, in gara 5 delle Finals del 1962, uno dei primi schiacciatori al mondo fece registrare una doppia doppia da 61 punti e 22 rimbalzi. La cosa che non stupisce è che questi numeri arrivarono contro i Celtics, squadra che ha tormentato per anni e anni. Le schiacciate sulla testa di Bill Russell sono uno dei ricordi più belli che la Lakers Nation ricordi.
Altro giro, altro Laker nei nostri ricordi. Parliamo di James Worthy e della sua G7 delle Finals del 1988. Non è una novità trovarlo in una classifica di Big Plays, perchè Worthy era soprannominato proprio Big Game James. Firmò il tutto con una tripla doppia da 36 punti, 16 rimbalzi e 10 assist, tirando 15/22 dal campo e rubando anche due palloni, tanto per gradire. Arrivò il terzo titolo in quattro anni per i giallo-viola grazie a quella memorabile prestazione.
Dai Lakers ai loro arcinemici, i Boston Celtics. E dei Celtics, una notte da sogno per il peggior incubo degli angeleni, ovvero sia il grande Bill Russell. In occasione di gara 7 delle Finals datate 1962, il centro dei Celtics segnò 30 punti e catturò 40 rimbalzi in una delle più increidibili doppie doppie di sempre. Valse il quarto titolo consecutivo e il record di rimbalzi catturati in un contesto di NBA Finals. Oltre l’immaginazione.

The Dream vs Supersonics (nba.com)
The Dream vs Supersonics (nba.com)

Dall’immaginazione al sogno, anzi, al Dream. Hakeem “The Dream” Olajuwon rientra di diritto nei nostri memorabili ricordi. 1986, Western Conference Semifinals, Game 6: 49 punti, 25 rimbalzi, 6 stoppate e un 19/33 dal campo che non servirono a un granchè, perchè nel doppio overtime la spuntarono i Supersonics ai danni dei Rockets. Resta la prestazione, resta la storia di una leggenda che ha riscritto la storia del Gioco grazie alla sua potenza e alla sua eleganza incredibile.
Le abbiamo nominate in precedenza le “campane della storia” di buffaniana memoria ma meglio ripassarci. Gara 5 tra Cleveland (non quelli di ora, solo James) e Detroit nelle ECF del 2007. Gara tiratissima e delicata, decisa dal solito trascinatore da Akron, OH. 48 punti, 18/33 dal campo, 9 rimbalzi e 7 assist per LeBron James. Decisa sulla sirena? Anche, ma degli ultimi 29 punti di squadra, 25 portano la sua firma. Il doppio overtime, poi, è storia, con il layup a 2.2 secondi dalla fine e dalla gioia sprigionata sottoforma di pianto sulla spalla di Drew Gooden. Momento pazzesco.
Arriviamo al nostro personalissimo podio e alla terza posizione troviamo la versione 1986, quindi giovanissima, di Michael Jordan, autore di una gara 2 al Garden, casa di Larry Bird, da 63 punti, 5 rimbalzi, 6 assist e un 22/41 che fa intravedere il campione che è in lui. E’ la partita dell’ “I think it’s just God disguised as Michael Jordan” pronunciato da Bird nel post partita, come a dire “Noi ci abbiamo provato ma lui è troppo”. Jordan giocò solo 18 partite quella stagione per via di un brutto infortunio al piede ma tornò in tempo per giocare i PO con la corazzata Celtics. I Bulls cambiavano completamente volto con un giocatore come Michael.
fluAl secondo gradino del podio c’è… Michael Jordan. Non c’è da stupirsi, anzi. Ci siamo già passati, la storia la conoscete fin troppo bene: 1997, NBA Finals, Game 5, Flu Game. Intossicazione alimentare per MJ che rischia di saltare la gara. Vuole esserci, viene portato al campo ancora ricoperto da bende per fargli abbassare la febbre alta e gioca: 38 puti, 13/27 dal campo, 7 rimbalzi, 5 assist, 3 palle rubate. Senza pulchrare verba. Prestazione eroica che spiega bene il soggetto. “Il suo sguardo diceva chiaramente che non c’era modo di vederlo in campo”, racconta Scottie Pippen. “Non l’avevo mai visto così, intendo così male fisicamente”. Quelle cifre più la tripla del pareggio a meno di un minuto dalla fine. GOAT e basta.
And the winner is… Earvin “Magic” Johnson. Siamo alle Finals del 1980, G6. Magic, scelto con la n°1 al draft del ’79, è ai suoi primi playoff in carriera. E’ catapultato nel mondo di Lakers vs Celtics, dove si gioca una pallacanestro diversa, intensa, quasi insostenibile per un rookie. Il miglior centro della Lega, Kareem, è costretto a saltare la decisiva gara 6. Chi rimpiazzò il lungo? Ovvio, Magic. Non solo ci riuscì alla grande ma segnò anche 42 punti, aggiungendo 15 rimbalzi, 7 assist, 3 rubate e un percorso netto ai liberi (14/14). Un’incredibile prestazione che tuttora resta inspiegabile se non con il concetto di “magic“.

Non ce ne vorranno i vari Chamberlain (autore di una partita da 92 di valutazione con 56+35), Wade con la sua G3 nelle Finals 2006 (42+13), Rondo con i 44 e 10 assist all’AAA di Miami nel 2012, Kobe con i 48+16 contro i Kings, Sleepy Floyd dei Warriors con i 39 punti in un tempo e i 51 finali, LeBron con i 45+15+5 del TD Garden nell’elimination game del 2010. Non ce ne vogliano i tanti che non siamo riusciti a nominare ma i PO sono così: 2 mesi densi ricchi di emozioni, colpi di scena, sorprese, rimonte e record. Non vediamo l’ora di sederci e goderci tutto.

 

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone