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ACCADE OGGI, 7/11/1991: “Sono sieropositivo”. L’intera NBA in lacrime si ferma per il ritiro di Magic

Siamo ad Inglewood, una ridente cittadina a sud di Los Angeles, California. E’ il 1991 quando nella città che conserva i resti di due miti del jazz come Ella Fitzgerald e Chet Baker cala la notte più buia della storia degli anni Novanta. Prima di arrivare a quella famosa giornata, bisogna fare un feedback neanche troppo lungo. La NBA si accinge a preparare per la quarantacinquesima volta lo spettacolare palcoscenico prima della nuova stagione, quella 1991-1992. L’anno precedente, il titolo vola in Illinois, a Chicago, dove i Bulls diventano i campioni del mondo a scapito dei Los Angeles Lakers. Da un lato un giovane Jordan, con accanto Scotti Pippen, John Paxson e coach Phil Jackson, dall’altro James Worthy, Byron Scott (attuale allenatore Lakers), Vlade Divac e Earvin “Magic” Johnson. Il meteorite Jordan ha impattato troppo forte e anche una franchigia vincente come quella di LA deve arrendersi. La stagione successiva ci si aspetta la rimonta, la vendetta, perché sono indubbiamente le due squadre con i mezzi più adatti per raggiungere le Finals. Ma quella stagione inizia male, proprio con quella notte fonda che scende su Inglewood. Siamo in ottobre, in preseason e i controlli medici molto rigidi della NBA fanno sì che ogni giocatore si sottoponga ad una serie di test per controllare nei minimi dettagli l’idoneità all’attività agonistica. I Los Angeles Lakers di coach Mike Dunleavy (padre del Mike Jr. dei Bulls) sono in procinto di partire per la solita esibizione pre-stagionale a Salt Lake City, per giocare contro i Jazz di Stockton e Malone. Ma nei giorni precedenti alla partenza, il roster purple-and-gold è chiamato a sottoporsi ai check-up medici obbligatori. Senza alcun problema vengono eseguiti e si rimane in attesa dei risultati ufficiali. Intanto si vola nello Utah. Le analisi vennero naturalmente inviate al dottor Michael Mellman, medico dei Lakers, che fu il primo a non credere a ciò che stava leggendo. Tra i mille fogli che furono consegnati al dottor Mellman, uno indicava il tramonto della luce, lo shock che nessuno si aspettava: Earvin Johnson aveva contratto il virus HIV. Il dottore fu incaricato di avvertire immediatamente il giocatore ma la situazione non era facile da gestire.

Magic alla conferenza stampa del 7 novembre '91 (espn.go.com)
Magic alla conferenza stampa del 7 novembre ’91 (espn.go.com)

La reazione immediata non la conosce nessuno al di fuori dei testimoni oculari ma per certo sappiamo che Magic chiese il contro-test altre due volte, fece ripetere le analisi più volte ma il responso restava invariato. Il professor Mellman cercò di spiegare a Johnson come non fosse malato di AIDS, specificando la differenza tra l’esser malati e l’aver contratto il virus. Non ci fu verso. Troppa la paura, la rabbia, lo sgomento, l’incredulità. L’epidemia di HIV/AIDS viene solitamente fatta iniziare nel 1981 quando fu riconosciuta l’esistenza di una nuova malattia in alcuni pazienti negli Stati Uniti: in realtà l’infezione esisteva già da molti anni, ma era stata sempre scambiata per altro. Diffusasi in maniera esponenziale in tutto il mondo (diventando una vera e propria pandemia), a differenza di tutte le altre epidemie fino ad allora conosciute fu a lungo mortale in percentuali vicine al 100% dei casi diagnosticati. Nel periodo in cui ci fu la notizia di Magic siamo nel vivo della terza fase dell’epidemia. Dalla seconda metà degli anni ’80 l’epidemia entrò nel pieno della sua “terza fase”; dopo quella “nascosta” e quella americana e nordeuropea (quella legata prevalentemente agli omosessuali), esplose infatti il contagio per via parenterale, raggiungendo una diffusione veramente da pandemia mondiale. Si trattava di una via alternativa a quella sessuale (etero- e omosessuale), che si aggiungeva alle altre fonti di contagio. Nel 1984 ad esempio Usa i casi di contagio erano arrivati a 22.996 e 12.592 i decessi, con un decorso della malattia che aveva ancora l’allarmante dato vicino al 100% di mortalità. Dati sconcertanti che portano Magic in un’unica direzione, quella del RITIRO. E’ probabilmente il momento più triste della storia extra-cestistica perché precisamente 23 anni fa Magic Johnson convocava una conferenza stampa dove annuncia il suo RITIRO dalla pallacanestro. E lo scenario è proprio quell’Inglewood che ospita la casa dei Lakers, il Great Western Forum, dove si ascolteranno le parole di Magic: “Ho purtroppo scoperto di aver contratto il virus dell’HIV. Oggi mi ritiro dunque ufficialmente dal mondo del basket professionistico e lascio i Los Angeles Lakers”. Queste le prime parole pronunciate dal 5 volte campione NBA, dal 3 volte MVP della lega. Nel suo discorso vi è tanta voglia di combattere questo male, questa bestia che affligge la medicina e che uccide tante persone.

"Voglio diventare portavoce della lotta contro il virus dell’HIV" (stewover.com)
“Voglio diventare portavoce della lotta contro il virus dell’HIV” (stewover.com)

Ha voglia di informare la gente, portare avanti molte campagne per diffondere la conoscenza del problema e per chiarire le situazioni di prevenzione: “La mia ignoranza potrebbe costarmi la vita ma voglio evitare che anche gli altri si ritrovino nella mia condizione per mancanza di informazione e prevenzione”. Prova, dunque, a metterci la faccia, quel suo sorriso sempre pronto a far star bene gli altri ma che, quel giorno, nessuno vedrà. Solo lacrime e angoscia in quel giorno tetro, triste per tutti gli appassionati NBA. Il dottore aggiunse anche che la situazione non produceva alcun effetto immediato sulla vita del giocatore, al quale fu ugualmente sconsigliato di continuare l’attività agonistica per evitare un possibile peggioramento delle condizioni del sistema immunitario. A 32 anni, con 12 stagioni NBA, Earvin Johnson ufficializzò il proprio ritiro dall’attività cestistica. Il discorso di Magic non si concluse lì: “Mia moglie sta bene, è risultata negativa al test. Continuerò la mia vita e diventerò portavoce della lotta contro il virus dell’HIV”. Le reazioni degli altri giocatori si divisero in due: c’era chi voleva, quasi pretendeva che Magic continuasse a far brillare quel tremendo sorriso sul parquet, c’era chi, invece, spaventato dal virus, temeva il contagio. Fu il primo caso di (semi) plebiscito del pubblico: fu il quarto giocatore più votato, ormai a diversi mesi di distanza dal ritiro, della Western Conference per partecipare all’ASG del ’92. Gara d’altri tempi, forse il più bell’All Star Game di sempre. Le cifre restarono quelle (25, 9 assist e 5 rimbalzi) e il premio di MVP di serata fu il più acclamato ogni epoca.

Ma la testimonianza di affetto, la reazione più genuina fu quella del suo acerrimo rivale Larry Bird. I due hanno dato vita ai duelli più belli che gli anni ’80 potessero avere. Una rivalità sana, all’insegna dell’odio cestistico in campo e della vera e profonda amicizia fuori dal rettangolo di gioco. Sono le parole di The Legend che più fanno commuovere, a diversi anni di distanza, in ricordo di quel triste annuncio: “Le aspettative di vita erano di 9 anni. Avevamo una partita quella sera e il pomeriggio stavo riposando. Mia moglie mi ha svegliato per dirmi che dovevo chiamare Magic. Quando l’ho saputo non riuscivo a crederci. Mi ricordo quando è morto mio padre. Ed il mio cuore aveva iniziato a scuotersi già un po’. Quando ho saputo di Magic mi sono mancate le forze, mi è passata la voglia di giocare a basket. Ho avuto una stretta allo stomaco per giorni. Pensavo che in nove o dieci anni sarebbe morto. Non vedevo l’ora di partecipare alle Olimpiadi, volevamo raggiungere tanti obiettivi. Per fortuna è ancora qui con noi”.

 

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone