ACCADE OGGI, 28/10/2006: muore “Red” Auerbach, un uomo oltre il gioco. The Boston Celtics are not a basketball team, they are a way of life.
“The NBA wouldn’t be what it is today without him”. La NBA non sarebbe quell ache è oggi senza di lui. Questa è la definizione di una persona che lo ha conosciuto bene, ovvero sia David Stern, estimatore senza tempo dei metodi antesignani di coach Red Auerbach. “Era un maestro consumato, un leader e un vero pioniere della pallacanestro” continua l’ex commissioner NBA, avallando l’idea che Red non era semplicemente un vincente ma una leggenda che rievoca dei momenti indimenticabili, colui che ha scritto le pagine più emozionanti e ineguagliabili di questo sport. Ma chi è realmente Arnold Jacob “Red” Auerbach? Qui bisogna fare un passo indietro perché la storia è tanto lunga quanto immortale. Nasce il 20 settembre 1917 a Brooklyn, NY, figlio di immigrati e grandi lavoratori proveniente da Minsk, una delle più gelide regioni della Russia. Va sottolineata subito la fede religiosa: Auerbach è ebreo e considerando gli anni i cui vive, gli USA sono una delle cose migliori che gli potesse capitare. Ha iniziato a giocare a basket a P.S. 122 a Brooklyn, diventando una eccellente guardia nella Eastern District High School. Sebbene fosse un non trascurabile talento, Red ha sempre espresso il desiderio di diventare un insegnante e un allenatore e da questi sogni parte il suo tuoi universitario: dopo un anno a Seth Low Junior College si trasferisce a George Washington University, dove continua la sua carriera da giocatore; nel 1941 lascia la George Washington University e corona il sogno di allenare presso la St. Albans Prep School e Roosevelt High School in Washington, DC. Dal ’43 al ’46 dovrà interrompere la sua guida da coach per servire la U.S Navy, esperienza unica che forgerà l’uomo di culto NBA della seconda metà del ‘900. Una volta tornato sulla terra ferma, fa del suo sogno una vera professione e ottiene i primi grandi successi: in quella che all’epoca era la BAA conduce i Washington Capitals ai titoli di divisione nel 1947 e nel 1949. Il presidente Walter Brown, fondatore della franchigia dei Boston Celtics, aveva messo già gli occhi sui metodi, sulla dedizione e sul temperamento di coach Auerbach e decide di investire su di lui: nel 1950 coach Red è il nuovo capo allenatore dei Celtics. Una caratteristica che non aveva avuto ancora modo di conoscere il presidente Brown era la vera e propria OSSESSIONE DELLA VITTORIA. È importante inquadrare il suo operato, la sua grande forza ed influenza all’interno di un contesto storico piuttosto travagliato: siamo nel periodo che va dagli anni ’50 agli anni ’70, nel pieno della lotta per i pari diritti dei neri afro-americani, estenuanti battaglie contro il “potere bianco” che non consentiva alle persone di colore di frequentare le stesse scuole, gli stessi alberghi, gli stessi luoghi pubblici e così via. Tutto è legato ad una particolarità, da una falsa qualità di coach Auerbach. Sono in molti a sostenere che il coach fosse COLORBLIND, ovvero sia daltonico, ma non nel più esatto significato medico. Il daltonismo del quale è affetto idealmente Red riguarda il colore della pelle dei giocatori: questo immaginario disturbo genetico portava il coach a non preoccuparsi del colore della pelle nelle sue scelte, a non farsi influenzare dalle bizzarre ed errate idee del mondo esterno. Un esempio? Fu il primo a segliere al draft un afro-americano, un tale Chuck Cooper. Fu anche uno dei primi ad iniziare con uno starting five formato da tutti giocatori di colore. La sua carriera da coach entra nel vivo e le vittorie iniziano ad arrivare nel 1956 e con le vittorie arrivano i primi lampi di una genialità all’avanguardia come poche ne sono passate su questa Terra. Qui la nostra storia legata solo ed esclusivamente a Red Auerbach si ferma perché troviamo una leggendaria bidirezionalità che vale la pena affrontare simultaneamente.
Nel 1956, un ex Celtics, passato per la guida cestistica e spirituale di Red, comunica ad Auerbach che c’è un giocatore che non può farsi sfuggire. Siamo negli anni ’50 e non c’erano mica ESPN, TNT o la ABC a trasmettere le partite e a mostrarti i migliori talenti del Paese. Auerbach è dubbioso ma quando sente quelle parole, cosi determinate, così convinte del suo ex allievo, si rassicura immediatamente. Il giovane in questione si chiama William Felton Russell, più comunemente chiamato Bill. Il problema che sorse fu che i Celtics non avevano la prima chiamata al draft e, dunque, si dovevano convincere due squadre a non sceglierlo. L’accordo con Saint Louis fu piuttosto semplice, agevolato anche dalla voglia di un Celtic di trasferirsi li per questioni familiari. Quello invece con Rochester, gli attuali Sacramento Kings, fu più complesso, ma qui entra in gioco il genio di Auerbach. Dopo aver conquistato la più totale fiducia del presidente Brown, Red intuisce che i Royals Rochester non sono in grado di firmare Russell per due motivi: il primo si chiama Maurice Stokes, centro dei Royals di grande spessore ed esperienza; il secondo riguarda il bonus sulla firma imposto da Russell a 25.000$. In un modo o in un altro, anche Rochester era sistemata. Finalmente Auerbach può ammirare tutto il talento di Bill Russell. Nasce qualcosa che non si vedrà più nel mondo dello sport, un legame atipico per due persone che condividono la stessa ossessione, gli stessi pensieri su molte, molte cose. Basta partire da un semplice dato: da un lato abbiamo Red Auerbach, ragazzo di strada ebreo di Brooklyn, che starebbe benissimo come protagonista di “Once upon a time in America”, e dall’altro un nero vero, con un livello di dignità immenso, impartitogli dal padre, e una fame di successo mai vista prima. Prima di arrivare ai crudi numeri, agli anelli, ai successi, vale la pena raccontare il lato umano dei due, il lato che li ha portati di diritto nel cuore di tutti gli appassionati di sport, non solo di pallacanestro. Russell arriva a Boston (che non amerà mai come città) come un ragazzo alto, rapido, a volte legnoso e che si sente miseramente non apprezzato. Sul fronte opposto abbiamo un mentore, uno psicologo, perché definire Auerbach un semplice “coach” è assai riduttivo. Il talento dei due si vede, si percepisce subito e pare essere complementare. Red sa come gestire una personalità come quella di Russell e lo prende subito bene. Il primo episodio avviene nel tunnel degli spogliatoi, quello che conduce al parquet del Boston Garden. Lo avvicina e, da fine psicologo, gli pone una domanda: “Russell hai problemi con il tiro?” Bill gli risponde di no, ma ammette di averci pensato. Dopo la risposta incalza Red: “Russell ti devo dire una cosa. Ti prometto formalmente, qui, a pochi minuti dalla palla a 2, che quando ridiscuteremo il nostro contratto non ti porrò mai davanti un foglio con le statistiche. A me va bene come giochi tu, indipendentemente dai numeri”. Possiamo solo immaginare il più classico dei “Grazie coach” con la voce di un uomo che per la prima volta si sente preso in considerazione sul serio e viene preso per il verso giusto. Auerbach con quella frase cambia per sempre la percezione che Russell ha degli allenatori, diventando così il primo coach che realmente apprezza ciò che fa la più importante leggenda dei Celtics. Intanto in squadra non c’è solo Bill ma anche un certo Bob Cousy, uno dei primi grandi playmaker della storia del gioco. Anche il rapporto con Cousy dice tanto sul tipo di allenatore che era il newyorkese. Fu suo il primo passaggio ogni epoca dietro la schiena e, una sera, preso da un dubbio, chiese a Res: “Coach, ma a lei piace come passo la palla?” che sul suo passaggio. Le piace come passo la palla? La risposta fu piuttosto eloquente: “Senti Cousy, quella palla te la puoi far passare anche dal culo, basta che arrivi dove deve arrivare”.
E anche questa mettiamola via. Torniamo al nostro rapporto iniziale. Siamo in una fase in cui Russell ha bisogno di fidarsi di Red e Red ha bisogno di fidarsi di Russell. E funziona. Come fa Auerbach a guadagnare la fiducia del suo centro? Ci sono 3 step fondamentali. In primis, lo fa allenare a singhiozzo, non facendogli mai disputare la partitella finale, il 5vs5 conclusivo, perché tanto il #6 sa già cosa deve fare. Il secondo, ma non meno importante, è quello che si ebbe a Lexington, in Kentucky, dove i Celtics erano stati invitati ad gara amichevole per ricordare Frank Ramsey, ex Celtic e Kentucky. Sull’aereo che li porta lì, uno degli assistenti va dagli unici 3 giocatori di colore di Boston e gli spiega che “loro” devono effettuare il check-in in un albergo diverso da quello del resto della squadra. Russell ha già sentito questa storia, l’ha anche vissuta e non ci sta per nessuna ragione. Bill, con la solita dignità da uomo vero, si ribella e addirittura viene chiamato in causa il governatore dello stato per il lasciapassare. La cosa urta incredibilmente i 3 Celtics di colore che non disputeranno mai quella partita, preferendo il primo aereo immediato per tornare a casa. All’aeroporto non vanno da soli. Li accompagna coach Red e, come mai nella sua vita, Russell si sente dire in un’occasione del genere “Sono con te” dal suo coach. L’ultimo episodio è probabilmente il più importante e toccante di tutti: Auerbach è stato incaricato dall’allora presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson di formare una rappresentativa americana per fare un tour tra Europa e nord Africa e dimostrare al mondo, dopo l’amara sconfitta alle Olimpiadi, che gli USA sono i più forti. Vinceranno tutte le partite di 40/50 punti ma ciò che accade in Polonia dice molto, se non tutto, sul rapporto che c’è tra le due leggende dei Celtics. Auerbach invita Russell ad accompagnarlo in una “gita” ad Auschwitz. Ci vanno assieme e sappiamo per certo che durante tutta la durata della visita, i due non si parlano, perché il loro rapporto è uno di quelli che non ha bisogno di parole, di condividere particolari emozioni. Quando vivi in perfetta sintonia con un altro, non hai bisogno di parlare, di dire quello che pensi. L’altro già lo sa. È un’amicizia virile dove si dice poco, si comunica tanto e ci si rispetta come dei veri uomini. Nel 1969 c’è il massimo emblema di questa amicizia: coach Red decide di lasciare, dopo l’ennesimo titolo vinto, il posto di capo allenatore a Bill Russell. Il passo indietro è obbligatorio perché, volente o nolente, non si diventa coach da un giorno all’altro. Negli unici 5 minuti che Auerbach concedeva in panchina a Bill, il numero 6 era solito mettersi in fondo alla panchina. Partiva il solito vocione di coach Red “Russell, porta quel culo nero qua e siediti di fianco a me”. Non che coach Red avesse delle preferenze, più o meno dichiarate, su certi giocatori ma era semplicemente un modo per fargli capire cosa stava succedendo e non solo. Russell tuttora ricorda ogni singolo momento in cui coach Auerbach riusciva a pronosticare e prevedere cosa sarebbe successo durante i possessi (da come si impostava l’azione) e quanto sarebbe finita la partita, vittoria o sconfitta. Non si accontentava di insegnare come allenare ma gli stava consegnando le chiavi di lettura per come VINCERE. È un tipo di rapporto che non è mai svanito nel tempo. Russell lo andava a trovare a Washington al Country Club e da buoni amici Bill sentiva ancora quel vocione che gli urlava. “Non vorrai mica che mi alzi per salutarti, sto mettendo apposto questi gentiluomini”. Non c’era bisogno, l’altro già sapeva. Siamo in dirittura d’arrivo ed è impossibile non menzionare i titoli vinti prima da allenatore, da general manager e poi da presidente dei Celtics da Red Auerbach: da allenatore vince il Larry O’Brien Trophy 9 volte (1957, 1959, 1960, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, 1966) mettendo su una dinastia unica nel suo genere, vincendo ininterrottamente dal ’57 al ’66, se non fosse per quel maledetto ’58 in cui Russell si infortunò alla caviglia e non disputò le finale. Viene nominato Coach of the Year nel 1965 e da General Manager arrivano altri 6 anelli (1968, 1969, 1974, 1976, 1981, 1984), con tanto di Executive of the Year nel 1980.
La gioia da presidente, invece, è solo una, con il titolo del 1986. È stato per oltre quarant’anni l’allenatore più vincente nella storia della NBA. Nel 2009 è stato superato da Phil Jackson, vincitore con i Los Angeles Lakers del decimo titolo personale da head coach, ma considerando i 7 titoli vinti come General Manager, Auerbach è certamente il personaggio più vincente e carismatico della storia dell’NBA. 16 trofei, tutti racchiusi in un’unica frase da egli stesso pronunciata: “The Boston Celtics are not a basketball team, they are a way of life”. 12 anni fa se ne andava, preso improvvisamente da un attacco di cuore, nella sua Washington. Al suo funerale, Russell non dirà nulla, anche se in molti gli chiesero di parlare ma lui, probabilmente, sapeva che non c’era bisogno di farlo in pubblico, avrebbe comunque comunicato con lui in altro modo, come hanno sempre fatto. Abbiamo aperto e chiudiamo con una frase di David Stern che, affranto dalla sua scomparsa, dichiarò: “Il vuoto causato dalla sua morte non sarà mai più riempito”.
Una leggenda 12 anni fa ci lasciava, quel cuore che tanto ha offerto a questo sport ha smesso di battere. Ma non finirà ma il suo ricordo, quello di una persona vincente e leggendaria, capace di saper guardare oltre le cose, oltre le persone, oltre il gioco. La sua LEGACY sarà per sempre la migliore che la mente dell’uomo sarà in grado di ricordare. Grazie Red.