ACCADE OGGI, 2/3/1962: Wilt Chamberlain e i 100 punti ad Hershey, Pennsylvania
Nella storia dello sport, di qualunque sport, sono state scritte e si scriveranno pagine indelebili, fatte di record, di avvenimenti probabilmente irripetibili, situazioni che rendono unico un preciso momento. Oggi affrontiamo una di queste e il nostro protagonista è molto più che unico. Se vieni definito da altri “The Big Dipper” ovvero sia l’Orsa Maggiore, significa che qualcosina durante la tua vita, seppur breve, l’hai dimostrata. La grandezza che ti è stata attribuita passa soprattutto in questo giorno, il 2 marzo, precisamente 53 anni fa. Non iniziamo, però, da questa data, ma da qualche giorno precedente, perchè è lì che l’episodio che vi stiamo per raccontare diventa unico nel suo genere, irripetibile e sicuramente non trascurabile nella storia degli sport.
La squadra che oggi conosciamo come Washington Wizards, nacque come Chicago Packers nella stagione 1961-1962. L’ingresso in lega non fu dei migliori, come era lecito aspettarsi. La squadra non era composta da giocatori di spicco, non potevano contare su star di primo livello e il gioco non decollava ancora. Il 28 febbraio del 1962 ospitarono una delle squadre di culto dell’epoca, ovvero sia i Philadelphia Warriors di Wilt Chamberlain, praticamente un semidio per quei tempi. In quella partita furono presi 51 tiri da Philadelphia e, ovviamente, 24 furono solo i suoi. Ne scrisse 61, in scioltezza, senza inserire la terza. In quella stagione, tra l’altro, non uscì praticamente mai dal campo: giocò più di 48 minuti di media a gara, considerando le 5 partite finite ai supplementari durante quella stagione. Ma come 48 o più minuti di media, non è mai uscito per falli? Una domanda giusta, un’obiezione che ci sta ma forse non conoscete il personaggio fino in fondo. L’avvocato Buffa, che ne sa una più del diavolo, lo ha definito un “vegetariano in difesa” giusto per farci capire che, praticamente, la difesa non era proprio contemplata come il manuale consiglia. 61 punti, vittoria 128 e 119 e poi a casa. Si ma quale casa? Wilt è talmente un semidio che pur giocando a Philadelphia, la casa dei Warriors in quegli anni, vive a New York City e più precisamente ad Harlem. Perchè proprio ad Harlem? Molto semplice perchè lì c’è il Club, C maiuscola. C’era lo Small’s Paradise, e se riuscita a tradurre il nome non vi occorrono altre spiegazioni. Nella sua biografia, uscita dopo la sua prematura scomparsa, Wilt confessa, con tanto di testimoni, di aver avuto ben 20.000 donne. Gli amici, in completa adorazione, dicono si sia tenuto anche basso con la cifra. Comunque sia, con un volo commerciale nel pomeriggio del 1 marzo 1962 arriva a casa, a NYC per trascorrere un po’ di tempo al Club. Stando a fonti vicine a Chamberlain, 3 di quelle 20.000 passarono quella notte con lui, col solito giochino del semaforo fuori la camera da letto. Quella sera ci fu solo il verde come colore dominante. Dormicchiò poche ore e in treno raggiunse Hershey, Pennsylvania, la casa dei Knicks di allora, dove andava di scena la partita contro New York. All’Hershey Sports Arena c’era, come di consueto, Harvey Pollack, uno dei due eroi di serata. Pollack era il “capo” delle statistiche per Philadelphia, uno dei pionieri dei numeri applicati al gioco (in molti pensano che il termine “tripla-doppia” sia stato coniato proprio da lui). Tenete lì Harvey, perchè tornerà utile. A proposito di numeri, mentre Wilt sostenne per anni che a quel match gli spettatori superavano di sicuro i 50.000, altri, invece, quelli che realmente c’erano, ne contarono poco più di 4.000. A chi dar ragione? Ai secondi, perchè la capienza della Hershey Arena era di 7.286 posti. Il coach di Wilt, tale Frank McGuire, sostiene che non fu ideato nulla di particolare per quella partita, non ci fu un piano particolare per consentire a Wilt di giocare una partita storica. Pollack e i suoi numeri ci vengono in aiuta per una volta: Wilt in quella stagione stava tirando i liberi come al solito, ovvero sia malissimo, superando di poco il 50% dalla linea della carità. Ciò che cambiò il corso di quella partita e aiutarono Wilt The Stilt a scrivere la storia furono proprio i liberi. In quella serata tirò con l’87.5%, cosa mai più successa in carriera. Il suo 28/32 dalla lunetta fu decisivo. Dopo l’ennesimo fallo su Wilt, Imhoff, suo diretto avversario sotto le plance, disse: “Well, why don’t you just give the guy a hundred now and we’ll all go home!”. Basta questo?
A fine del primo tempo, i Warriors avevano perso parte del loro vantaggio, ma vantavano ancora un buon 79-68. I punti di Chamberlain erano già 41. I Warriors, però, non si curavano troppo dell’aspetto punti, perchè avevano già visto altri 15 sessantelli di Wilt e vederne un altro cambiava poco per loro. Anche Wilt, spiegò in seguito, era abbastanza tranquillo: “Sono spesso entrato in spogliatoio con 30 o 35 punti, quindi, 41 punti non fu un grosso problema”. Guy Rodgers, compagno di squadra di Wilt, all’intervallo disse “Diamo la palla a Dip. Vediamo quanti ne può fare!”. Arrivò l’ok anche di coach McGuire. La tattica di Rodgers fu inarrestabile. Dal 50esimo punto in poi, anche Dave Zinkoff, speaker dell’arena, si risvegliò e iniziò ad accendere il pubblico. A fine terzo quarto il bottino personale di The Big Dipper era di 69 punti e il tassametro non accennava a fermarsi nemmeno per un secondo. Chamberlain veniva sistematicamente quadruplicato, subiva contatti anche duri ma non c’era modo di fermarlo. Fece uscire per falli tutti i lunghi dei Knicks e chiunque gli si poneva davanti o sarebbe caduto o gli avrebbe concesso fallo e canestro. Non c’era soluzione. I 4214 presenti, urlavano in coro tutti la stessa frase: “Give it a Wilt! Give it a Wilt!”. Al centesimo punto, la partita finì perchè quei 4.000 invasero il campo per toccare quel semidio che era Wilt. Quando si volle perlomeno finire il match, non si trovò la palla da gioco. Tra gli invasori ci fu un bimbo che rubò probabilmente uno dei palloni che vale di più nella storia dello sport. 100 punti, record personale, record ogni epoca, record dei record. Non spaventa tanto il suo quasi usuale 36/63 dal campo ma la sua performance ai liberi.
Ed ecco che ora entra in gioco il nostro Harvey che, neanche a dirlo, quella sera impazzì con i numeri di Dip. All’epoca non c’erano telecamere per riprendere quello che successe, soprattutto se non era una partita che andava in diretta nazionale. Nessuno possedeva i mezzi personali per testimoniare quell’impresa. Pollack ebbe la lucidità, l’idea, l’intuizione di scrivere su un foglio di carta il numero 100 e lo diede a Chamberlain. Il resto è solo STORIA, la più bella storia che un campo da basket possa raccontare. Quella notte, a Hershey, Pennsylvania, davvero c’era un semidio che non poteva essere fermato.