ROAD TO THE FINALS - LeBron James
Due giorni al via delle Finals 2015. Un atto conclusivo tra i più attesi degli ultimi anni, per il confronto tra la migliore squadra della Lega, i Golden State Warriors degli Splash Brothers, e i Cleveland Cavaliers, elevatisi improvvisamente al ruolo di contender la scorsa estate, con il ritorno a casa di LeBron James e l’arrivo di Kevin Love da Minnesota, i quali, con Kyrie Irving, hanno formato i Big Three dell’Ohio. Una squadra, i Cavs, partita con il freno a mano tirato, troppo scostante nelle prime settimane di regular season, ma che, da fine gennaio in poi, con gli innesti dei vari J.R. Smith, Shumpert e Mozgov, ha trovato una propria quadratura, che ne ha fatto, in questi Playoff e nonostante il ko di Love, una rivale temibilissima, anche per i spumeggianti Warriors. Adesso andremo a ripercorrere la stagione del Prescelto, chiamato, a furor di popolo, a regalare il primo Anello a Cleveland.
11 Luglio 2014. Con una lettera a Sports Illustrated, LeBron annuncia al mondo il suo ritorno a casa, a quei Cavs con i quali esordì nell’ormai lontano 2003, con un unico obiettivo, portare Cleveland sul tetto della Lega. L’ex Heat si trova catapultato in una squadra che ha in Kyrie Irving una stella di prima grandezza, attorniato da giocatori di buon livello, ma nel complesso acerba ed inesperta, anche se può vantare le due prime scelte degli ultimi Draft, ovvero i canadesi Andrew Bennett e Andrew Wiggins, oltre ad un altro rookie a questi livelli, ovvero l’ex coach del Maccabi Tel Aviv, neo campione d’Europa, David Blatt. Per rendere la squadra competitiva da subito, James ottiene dal front office l’arrivo, via Twolves, di Kevin Love, in una trade che vede i due canadesi fare il percorso inverso. Si forma così un trio che promette spettacolo (LBJ-Irving-Love) il quale, in teoria, dovrebbe assicurare ai Cavs il dominio della Eastern Conference, oltre che il ruolo di degna contender delle potenze della Western.
L’inizio, però, è tutt’altro che facile. La squadra, com’è ovvio che sia, essendo nuova ha bisogno di tempo per carburare, in particolare per ciò che riguarda gli schemi tattici. Il problema principale è nella metà campo difensiva, dove i Cavs, anche per la scarsa attitudine di alcuni giocatori (Love su tutti), soffrono maledettamente quasi con ogni avversario. Anche LeBron non comincia al massimo, mettendo a referto 17 punti (e 8 palle perse) nel match d’esordio con i Knicks, alla Quicken Loans Arena, finito 95-90 per la squadra della Grande Mela. Come tutta la squadra, anche The King va a corrente alternata, con grandi prestazioni (41 punti a Boston il 14 Novembre) e altre decisamente poco convincenti (11 punti a Portland il 4 Novembre), senza mai mancare, del resto, di assumersi le sue responsabilità e fare da parafulmine contro le critiche che piovono pesanti sui Cavs. Intanto, dopo aver collezionato un record di 5-7 nelle prime 12 partite, Cleveland sembra trovare un po´ di continuità, piazzando 8 vittorie di seguito tra l’ultima settimana di Novembre e la prima decade di Dicembre (13-7). LeBron (24.6 punti di media, 48.5% dal campo e 39.7% da tre, 5.7 rimbalzi e 7.6 assist nel mese di Novembre) continua la sua altalena, anche se, a turno, sia Irving che Love danno un sostegno sostanziale alla squadra.
Ma la strada che porta la franchigia dell’Ohio verso i vertici è ancora lunga e lastricata di ostacoli. I Cavs tornano, infatti, a faticare, incappando in ko pesanti come il -29 subito in casa con Atlanta (17/12) o il -23, sempre interno, con i Pistons (28/12). A culmine di quest’avvio difficile della sua seconda vita a Cleveland, negli ultimi giorni del 2014 James è costretto a fermarsi due settimane per dei problemi alla schiena e ad un ginocchio. Il nativo di Akron salta 8 partite, nelle quali il bottino dei Cavs è misero: una vinta e sette perse (19-19), lasciando campo libero agli Hawks. LeBron torna sul parquet in quel di Phoenix, mettendo a referto 33 punti, 7 rimbalzi e 5 assist in 37′, senza riuscire ad evitare, però, la 6° L di fila di Cleveland (2-10 nelle ultime 12). Nel frattempo, però, ci sono state delle novità: da New York, infatti sono arrivati due rinforzi importanti, ovvero J.R. Smith ed Iman Shumpert, e da Denver è arrivato Timofey Mozgov, tutti in grado di dare più consistenza alle rotazioni di coach Blatt. Il loro effetto benefico comincia a notarsi subito, e ne giovano sia la squadra che LeBron stesso, consapevole della volontà dei vertici della franchigia di voler provare a primeggiare da subito. Cleveland, così, mette insieme quasi un mese e mezzo ad altissimo livello. Un 18-2 in venti partite che consente ai Cavs di scalare posizioni su posizioni nella Eastern Conference. E le soddisfazioni arrivano anche per il nostro: oltre ad essere il faro e l’ancora della squadra nei momenti difficili, diventa il giocatore più giovane nella storia NBA a superare la soglia dei 24.000 punti, all’età di 30 anni e 17 giorni, quasi un anno meglio di Kobe Bryant.
The Chosen One è tornato e la pausa forzata di inizio anno sembra averlo ricaricato alla grande. Nel suo 11.esimo All-Star Game, mette a referto 30 punti, divenendo il secondo miglior marcatore della storia dell’evento, superando Michael Jordan e portandosi a -2 dal primatista Kobe. E non è finita qui. Il 24 Febbraio, nel match esterno con i Pistons (102-93 per Cleveland), grazie agli 11 assist serviti ai compagni diventa l’ala piccola con più assistenze di sempre nella Lega, toccando quota 6.142 assist, 7 in più di Pippen. Cleveland, ormai, ha ingranato e, benchè Atlanta sia troppo lontana, il secondo posto nella Eastern arriva di conseguenza, grazie ad un 16-6 nell’ultimo mese e mezzo di regular season, per il 53-29 finale. LeBron, al comando di questo gruppo sbocciato, soprattutto offensivamente parlando, nel fiore di un team davvero temibile, viaggia quasi sempre in controllo, sfoderando le marce alte solo quando serve, come in occasione delle triple doppie sfoderate, rispettivamente, contro Bulls (5/4) e Pistons (13/4), con quest’ultima che è stata la #50 della sua carriera. James, così, ha chiuso la stagione regolare con 25.3 punti di media (48.8% dal campo e 35.4% dall’arco), 6.0 rimbalzi e 7.4 assist, in 36.1 minuti di utilizzo medio.
E arriviamo ai Playoff 2015. Il tabellone mette di fronte ai Cavs (#2 del seeding) i Celtics (#7), arrivati a sorpresa alla post season. L’esito rispecchia i pronostici (4-0), ma non è stata una passeggiata di salute, in particolare sotto l’aspetto degli infortuni, con Irving che esce malconcio dalla serie e Love che, addirittura, dopo uno scontro con Olynyk, si fa male alla spalla sinistra e deve abbandonare i Playoff. LeBron (27 punti, 9.0 rimbalzi e 6.5 assist nelle quattro partite con Boston) una volta di più si trova al centro delle responsabilità, dovendo trainare la squadra all’interno di una serie piena di insidie come quella con i Bulls, nelle Eastern Semifinals. Come di consuetudine, il #23 non si fa pregare: quasi tripla doppia in Gara-1 (19+15 reb+9 ast), 33+8 rimbalzi in Gara-2, 27+14 assist (e 8 rimbalzi) in Gara-3, partita nella quale diventa il quarto miglior assistman di sempre ai Playoff; ancora, una tripla doppia eccezionale in Gara-5 (38+12 reb+ 16 ast), diventando il terzo di sempre a disputare, nei Playoff, un match da 35 punti, 10 rimbalzi, 5 assist, 3 stoppate e 3 palloni rubati. Il punto del 4-2 arriva allo United Center (94-73), partita nella quale James sfiora l’ennesima tripla doppia (15+11 ast+9 reb), anche se non convince al tiro (7/23). LBJ, dunque, si mette la squadra sulle spalle e, ben coadiuvato dai vari Smith, Thompson, Mozgov e Dellavedova, porta i suoi alle Finali di Conference, 6 anni dopo l’ultima volta.
Quanto accaduto nelle Eastern Conference Finals, ormai, è storia recente. Semplicemente non c’è stato nulla da fare per gli Hawks, scioltisi nel momento decisivo ed asfaltati da un LeBron formato deluxe, autore di una serie pazzesca. 30.3 punti, 11.0 rimbalzi e 9.3 assist in 38.3 minuti. In Gara-3, tripla doppia (12.esima ai Playoff, solo Magic Johnson (30) meglio di lui) da 37+18 reb+13 ast, nessuno nella storia dei Playoff NBA come lui. E ancora, partita #75 in post season (su 172) con 30 punti o più; 6° miglior realizzatore, sempre ai Playoff, con 4.805 punti in 172 partite. Di fronte a tutto ciò, non si può far altro che togliersi il cappello, dinanzi ad un giocatore da molti considerato il più forte attualmente in NBA (e per alcuni in assoluto). Adesso, l’ultimo passo prima di arrivare in paradiso. Le Finals contro i Warriors di Steph Curry, per il quale James, negli ultimi giorni, ha speso parole di elogio (“Come fermare Steph? Semplice, è come con me, non ci puoi riuscire“). Una sfida che si preannuncia ricca di emozioni e spettacolo, al termine della quale sapremo se The King sarà riuscito nella sua “Mission”.