IL SESTO SENSO: Lamar Odom, dai playground del Queens ad Hollywood
Quando nasci in America, ma soprattutto quando nasci a New York, e in particolare quando nasci al Queens, il mondo ti sembra sempre una passeggiata su un filo sottile (da attraversare non necessariamente troppo sobri) che lega trionfo e tragedia, gloria e fallimento. Sei portato ad avere costantemente gli occhi puntati al cielo, perchè non esiste un newyorkese che non è un sognatore, ma allo stesso tempo i piedi bien piantati sui playground di periferia, una sorta di selezione naturale in cui non hai scuse, ne cognomi che possono salvarti la vita. Ci sei solo tu, il tuo talento e la tua voglia di scappare, per poi magari ritornarci da protagonista in quel Madison Square Garden, le cui luci abbagliano le bellezze della Grande Mela e accarezzano di sfuggita il buio e le ombre della periferia. Se ti chiami Lamar Joseph Odom, però, e a 14 anni sei 1.90 ed hai un pennello Picassiano al posto della mano sinistra, tutto sembra più facile. Cresce nel mito di Magic Johnson, pensando che uno come lui poteva starsene lì vicino al canestro, dare 10 stoppate e 20 schiacciate a partita e sembrare dominante, ma non gli bastava, era troppo facile. Gli piaceva dare spettacolo, ed essendo nato per essere un competitor, in una partita di playground nel Queens arrivò alle mani con uno che si diceva essere più bravo di lui. Si chiamava Stephon Marbury, i due qualche anno più tardi si sfideranno in quel tanto sognato Garden e si abbracceranno, ricordando con un sorriso quella rissa in adolescenza. Quando inizio’ a frequentare la Chirs The King High School il suo nome era gia’ noto in citta’ ed ovviamente fu da subito titolare. Il suo primo “riconoscimento ufficiale” arrivo’ nell’anno successivo, da Sophomere, all’eta’ di 15 anni quando guido’ Chirs The King per tutto il campionato delle scuole Cattoliche ed in finale vinse il titolo, nel Madison Square Garden, con una prestazione da 36 punti. Nella seguente stagione venne nominato New York Daily News Player of the Year. Cambia tre scuole (Chris The King, Chirstian Redemption Academy e la Thomas Aquinas High School del Connecticut) vince ogni tipo di titolo o riconoscimento giovanile e la sua ascesa sembra inarrestabile. La sua ambizione ossessiva lo porta a vincere il Parade Magazine’s player of the year e a voler migliorare le sue medie scolastiche per entrare in un college di Division One. Lamar era una stella già da bambino, e molti furono i presunti agenti e falsi amici che tentarono di lucrare sul suo talento. Questo gli comportò la cacciata dall’highscool di Las Vegas, Nevada, in quanto ci furono dei sospetti su qualcuno che aveva truccato i suoi voti per l’ammissione. Lamar si trova senza scuola e senza agenti e consiglieri. Nonostante un anno di stop viene scelto alla numero 4 dai Clippers. Los Angeles è la città del suo destino, e sfoggia una prestazione devastante mettendo 30 punti al suo esordio assoluto in NBA. Conclude un grande primo anno ricevendo la convocazione per il Rookie All Stars e venendo inserito nel primo quintetto delle matricole. Proprio quando aveva mostrato a tutto il mondo il suo sconfinato talento, in pieno stile da rockstar sprofonda in un tunnel che sembra senza via d’uscita. Prima le ruggini con l’allenatore, poi i problemi con la droga e poi un bruttissimo infortunio lo mettono ai margini del panorama della palla a spicchi a stelle e strisce. Viene considerato incostante ed inaffidabile e dopo due anni terribili arriva la free agency, e tutti a LA sembrano volersi liberare di lui, e non è che ci sia molta fila per accaparrarsi le sue prestazioni. L’unico a credere in lui è Pat Riley, che lo fa sentire importante dicendo che gli ricorda Magic Johnson (si, proprio il suo idolo quand’era bambino). Lo affianca ad altri due ragazzi terribili, Butler e Wade e gli Heat giocano una grande pallacanestro, arrivando fino a gara 6 delle finali di Eastern Conference. Ma Riley, come tutti i grandi vincenti, ha un’ambizione sconfinata, una memoria corta e sa mettere da parte i sentimenti. Così dopo averlo riscoperto, coccolato ed aver goduto della sua classe, manda Odom insieme a Butler e Grant ai Lakers per accaparrarsi le prestazioni del centro più dominante del decennio, Shaquille O’Neal. Ancora California quindi per Odom, che trova una squadra in una fase di transizione. I ragazzi di Phil Jackson hanno vinto 3 titoli consecutivi, ma hanno perso il loro giocatore migliore e stanno iniziando la ricostruzione, argomento sempre molto delicato nello spietato mondo NBA. I primi anni sono discreti per Lamar, ma la vera svolta arriva con l’ingaggio di Pau Gasol, centro catalano proveniente dai Memphis Grizzlies. Phil Jackson rivede Odom in Toni Kukoc, stella croata con cui vinse 3 titoli ai Chicago Bulls nell’era Jordan. Un giocatore che esce dalla panchina, in grado di dominare il secondo quintetto avversario e di prendere tiri importanti nei momenti decisivi. Arrivano tre finali consecutive e dopo la sconfitta nel odogiore asfalto o del miglior legno, la vita di un bulletto del Queens che la cui stella ha brillato ad Hollywood, dove risplendono solo i più grandi. Una vita mai banale, una vita da Lamarvellous.