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Detroit, Chuck Daly e i suoi Bad Boys

Bad-boys-detroit-pistonsSiamo a cavallo degli anni ’80 e ’90. Il regno dei Celtics di Larry Bird è finito e lo ShowTime dei Lakers di Magic Johnson ha i giorni contati. Lo scettro sta per passare di mano e il nome più gettonato è ovviamente quello di Michael Jordan, ma c’è qualcuno che non è d’accordo. Sulle rive del lago Michigan Chuck Daly (si, proprio quello che guidò l’indimenticabile Dream Team di Barcellona ’92) sta assemblando i suoi Detroit Pistons. La franchigia non è esattamente in un momento storico entusiasmante: non ha mai vinto un titolo NBA e nella stagione 79-80 ha perso 61 partite e stabilito il record (poi superato) di 21 sconfitte consecutive. Conseguenza della disastrosa stagione precedente fu la seconda scelta assoluta del Draft 1981, tale Isiah Thomas, primo tassello di una squadra che si rivelerà invincibile. Nessuno scommetterebbe su di lui, data la statura (1.83) e il carattere chiuso e burrascoso(durante un All Star Game umiliò Jordan tenendolo a 7 punti e rifilandogli diversi colpi, infatti MJ al momento della formazione del Dream Team del 1992 implorò la sua esclusione) . Il mondo si accorge di lui ai Play Off 1984. Il palcoscenico è il migliore che si possa desiderare, il Madison Square Garden. Thomas gioca una gara incolore, quasi inquietante, finchè negli ultimi ’94 secondi mette 16 punti e manda la partita all’overtime. I Knicks vinceranno, ma quel giorno era nata una stella. Nel 1982 insieme a Thomas era arrivato da una trade con i Cleveland Cavaliers il centro Bill Laimbeer, anche lui carattere non facile (per dirne una, nel 1990 metterà le mani in faccia a Charles Barkley, non esattamente l’ultimo arrivato). La svolta arriva dopo la sconfitta nei play off 1985-86 contro Atlanta. I Pistons giocano un basket spettacolare, ma peccano di cattiveria nei momenti decisivi, preferendo il fioretto alla sciabola. E’ in quella notte primaverile in Georgia che nella testa di Daly nascono i Bad Boys. Con un lavoro di scouting eccezionale in due anni vengono selezionati Joe Dumars alla numero 18 e Dennis Rodman alla numero 27. Dumars, una guardia tiratrice (dopo il ritiro di Thomas giocherà anche playmaker) di soli 1.90 capace di annullare Michael Jordan (sarà proprio MJ in un’intervista a definirlo il difensore contro il quale ha trovato più difficoltà). Rodman, personaggio controverso e irripetibile. 7 volte miglior rimbalzista NBA, noto per essere stato trovato con un fucile carico nel parcheggio dei Pistons, per essere arrivato al Palazzetto per conto suo e non insieme alla squadra per gara 5 delle finali di Conference con gli Spurs, per avere un rapporto di amicizia con il Dittatore Nordkoreano e per altre mille storie bizzarre come i suoi capelli multicolore. Predicata sul più classico dei concetti calcistici difensivi di provincia,il “palla o piede”, il sistema difensivo dei Pistons soffocava i rivali. Rimbalzisti eccezionali, veloci e spigolosi, provocatori ed agonisti. Erano nati i Bad Boys, nome mutuato da un celebre film con Will Smith. Nel 1987 perdono una partita già vinta contro i Celtics quando Thomas non chiama un time out (come gli stava urlando Daly), Bird ruba palla e arma la mano di Dennis Johnson che mette il canestro del titolo. Nel 1988 spezzano la dinastia ad Est dei Celtics, con una sontuosa prestazione di Rodman che annulla Larry Bird. In finale ci sono i Lakers di Magic e Jabbar. I Pistons giocano una serie stoica, quando manca una sola partita al titolo Isiah Thomas con una caviglia in pezzi mette 25 punti in un solo quarto (record delle Finals), ma i Lakers con un fallo contestatissimo di Laimbeer (che lo definirà il fallo fantasma) su Jabbar vincono 103 a 102, vincendo gara 7 e il loro 11esimo titolo. La vendetta perfetta si consumerà nella stagione successiva, dove i Pistons dominano in Regular Season (63 vittorie) e distruggono i Lakers in finale con un sonoro 4 a 0, mettendo fine all’era dello ShowTime. Nella stagione successiva Detroit è chiamata a difendere il titolo e nelle finali di Conference avviene un qualcosa che rivoluzionerà per sempre la storia del gioco. Michael Jeffrey Jordan è da qualche anno il giocatore più spettacolare e dominante della lega, ed è praticamente immarcabile in situazione di uno contro uno. Chuck Daly, che a Jordan 2 anni piu tardi affiderà il controllo del suo Dream Team di Barcellona, ne inventa una delle sue. I giocatori di Detroit attuano un gioco durissimo su di lui, impedendogli di segnare ad ogni costo. Saranno ribattezzate le Jordan Rules. Era dai tempi di Chamberlain che un giocatore non subiva una marcatura individuale così asfissiante, tendente al violento. Dopo quella serie persa contro i Pistons, per rendere più efficace il gioco dei Bulls e di Jordan, Tex Winter progettò la celebre Triple Post Offence, che coinvolgeva tutta la squadra e che in seguito rese prima i Bulls e poi i Lakers di Phil Jackson assolutamente invincibili. Annullato Jordan ed eliminati i favoritissimi Bulls, la finale con Portland non inizia nel migliore dei modi per Detroit. Si torna in Oregon sull’1 a 1, con 3 partite in casa consecutive per la squadra di Drexler e Drazen Petrovic. I Pistons serrano i ranghi in difesa, Isiah gioca la miglior serie della sua carriera inventando punti di ogni tipo e Laimbeer, Dumars e Rodman sembrano le sue tigri sempre pronte a proteggerlo. Detroit è campione NBA per la seconda volta consecutiva. Sarebbe stato assurdo pensarlo solo qualche anno prima, Daly ha creato una macchina da guerra perfetta, capace di far cadere giganti come Bird, come Magic, come Jordan, capace di sopperire alla differenza di talento con la furia agonistica. La leggenda dei Bad Boys, di questi ragazzacci venuti dal nulla che hanno scalato le gerarchie cestistiche grazie soltanto alla loro voglia di arrivare, travolge tutto il mondo NBA. L’anno successivo sarà il canto del cigno di questa squadra irripetibile, che stavolta si infrange sul muro rosso dei Chicago Bulls e di Jordan che si prende la sua rivincita. Isiah Thomas, menomato da un infortunio, guarda il trionfo del rivale dalla panchina e i Pistons escono senza dare la mano ai rivali, in perfetto stile Bad Boys. Vivevano in un mondo impenetrabile come la loro area, facevano riferimento ad un unico leader ma mai padrone, Chuck Daly. Non erano simpatici, né mediatici, né troppo amichevoli. Erano 5 dita indipendenti e anarchiche che si stringevano in un pugno che non faceva prigionieri. Erano la rappresentazione umana del concetto di Kipling che la forza del branco è il lupo, ma la forza del lupo è il branco. Fondati su principi Machiavellici e leggi tribali, artisti di strada, più da pub che da teatro, più da rock’n’ roll che da musica classica.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone