Kevin McHale contro The Last Dance: "Irrispettoso ridurre quei Pistons a semplici picchiatori"
Si continua a discutere attorno a The Last Dance, la docu-serie sui Bulls del 1997/98, ultimo anno in riva al Lago Michigan di Michael Jordan. L’argomento del contendere è il modo nel quale in The Last Dance vengono dipinti i Detroit Pistons dei Bad Boys, acerrimi rivali dei Bulls e di His Airness, il quale ha detto a chiare lettere di odiarli ancora oggi.
A sollevare la discussione ci ha pensato Kevin McHale, ex coach di Timberwolves e Rockets e, da giocatore, bandiera dei Boston Celtics dal 1980 al 1993. “Possiamo capire chiaramente perché i Pistons odiassero quei Bulls. Erano una squadra che si lamentava sempre, dicendo che quello giocato dai Pistons non fosse basket, ma teppismo cruento. Dalla serie questo si evince con chiarezza“, spiega McHale.
“A mio modo di vedere, i Bulls hanno mancato di rispetto ai Pistons, non riconoscendo loro l’indubbia abilità in campo mostrata in quegli anni. Hanno sminuito una franchigia forte e vincente definendoli irrispettosamente e semplicemente “picchiatori”, senza curarsi di elogiare minimamente le capacità uniche di quella squadra“, attacca il 62enne di Hibbing, Minnesota.
“Ovviamente il documentario esalta i Bulls, quindi tutti gli altri devono per forza essere sminuiti” – continua McHale – “Riguardo all’episodio dell’uscita dal campo di Thomas e compagni nelle finali di conference del 1991, non ho nulla da dire. Tutto ciò era usuale nella NBA degli anni ottanta. Al termine di ogni partita di Playoffs, specie dopo quelle decisive, nessuno riteneva necessario salutare l’avversario od andargli a parlare a fine partita“.
“Magari si incontrava qualche ex compagno, per caso nella zona degli spogliatoi ben dopo la partita, e lì ci si congratulava, ma sempre con i soliti misurati convenevoli” – conclude il tre volte campione NBA – “Dopo la partita si andava direttamente nel tunnel. Nel 90% delle serie che ho vinto non ho mai parlato con nessun avversario, né durante né dopo le partite. Gli sconfitti non si avvicinavano a me ed io non pretendevo lo facessero“.