Cavs, il ricordo di Jefferson: "L'ultimo anello vinto è stato incredibile"
L’ex ala dei Cleveland Cavaliers, Richard Jefferson, ha rilasciato una lettera al “The Players Tribune” in cui parla della cavalcata verso l’anello della stagione 2015-2016.
Ecco alcuni estratti della lunghissima lettera del giocatore americano: “Sono sull’aereo della squadra e sto per mettermi a piangere, non è nemmeno Gara 7 e non sono nemmeno le Finals.
Eravamo a Toronto e c’erano le finali della Eastern, la serie è 2-2, l’aereo decolla e la mia mente è una spirale senza controllo. Pensavo “Non possiamo perdere a Cleveland”. Se torniamo a Toronto sotto 3-2 è finita, non posso sopportare una cosa del genere di nuovo, non posso arrivare ancora così vicino a quel trofeo senza prenderlo tra le braccia. Non potrei farcela, letteralmente”.
Significava tutto, per me. È buffo che la gente ancora oggi pensa cose del tipo “Ragazzi, quella cavalcata dei Cavs dev’essere stata divertente”. Non c’è stato nemmeno un secondo in cui è stata divertente, è stata un calvario fino al fischio finale di Gara 7. Anche dopo aver eliminato Toronto ed essere arrivati in finale non dormivo, non mangiavo, ero fuori di testa. Non ho creduto nemmeno per un secondo che saremmo riusciti a vincere.
Immaginatevi di essere sotto nella Finals 1-3, praticamente eravamo morti, era finita. Mi ci sono voluti 13 anni per tornare alle Finali NBA, esattamente tredici anni, sette squadre, 916 partite. Ma sarò onesto, quando arrivai nella Lega non ero un tipo di quelli che avresti scommesso sarebbero durati 17 anni.
Mia madre fece il possibile per tirarci via dall’assistenza sociale e crescere i suoi quattro ragazzi da sola e in una nuova città. La cosa che più mi piaceva era il poter giocare all’aperto, tutto ciò che potevo fare a South Central era finire Super Mario Brothers per la decimillesima volta. A Phoenix però ho scoperto il mio amore per il basket. Non ho mai pensato di arrivare a giocare in NBA, ve lo posso garantire, l’unica cosa che mi interessava era giocare al parco e fare trash talking spinto.
Sono stato la prima persona della mia famiglia ad andare al college e devo ringraziare il basket per questo, non ero preparato ad aver a che fare con i media.
Il mio compagno di stanza agli Arizona Wildcats era Luke Walton. Bravo ragazzo ma un idiota! Michael Wright? Lo stesso. Gilbert Arenas? Volete una storia su di lui? Il fatto è che ci sono tante di quelle storie su Gilbert che potrei raccontarvi… Era un genio del male. Il famigerato ‘weekend per famiglie del 2001, ecco dove Gilbert diede il massimo. La scena era questa: è un bellissimo pomeriggio a Tucson, ci sono un sacco di madri e padri orgogliosi e nonni e cani e bambini per tutto il campus, una giornata veramente salutare. Un gruppo di noi era nel nostro appartamento, ad un certo punto mi viene fame e dico che sarei andato alla student union a prendere del cibo. Gilbert disse “ti accompagno”. Chiaramente aveva l’impianto più chiassoso della nazione e tipo tre DVD players collegati al cruscotto. Quindi attraversammo l’East University Boulevard con tutti i finestrini abbassati ed eravamo all’apice del grottesco. Era l’anno delle nostre Final Four e chiunque nel campus sapeva che si trattava di Glibert Arenas e della sua ridicola automobile. Di punto in bianco Gilbert fa “Dammi un secondo, metto su una cosa che ti piacerà”. Prese un porta CD da 100 scomparti, ve li ricordate? Infila qualcosa nel lettore DVD e parte il film, pensato per gli adulti. Ragazzi sembrò quasi che tutta l’Università dell’Arizona si fosse girata a guardare verso la macchina. Ero così imbarazzato che reclinai totalmente il sedile e mi misi in posizione fetale. Glibert aveva un sorriso enorme, salutava tutti.E sapete una cosa? Era un bravo ragazzo.
Non ero preparato ad affrontare le fatiche di un’intera stagione NBA, figuriamoci di 17. Quando David Stern salì sul podio per dire il mio nome al Draft NBA, mi ricordo di aver chiuso gli occhi e di aver pensato “Beh, a quanto pare finirò in NBA”.
Vi garantisco che i Nets dei primi anni 2000 sembrano quasi dimenticati. Le persona non ricordano quanto sapevamo essere duri e aggressivi. Eravamo uno degli ultimi veri team da run-and-dunk. Nessuno sapeva tirare, ma sapevamo difendere, sapevamo arrivare al ferro e sapevamo lottare. I ragazzi oggi non vogliono davvero combattere. Draymond io ti voglio bene, sei come un fratello. Ma te lo direi in faccia che non intendi davvero combattere. Kenyon Martin invece? Era davvero un giocatore difensivo, aggrediva tutti e tutti lo temevano.
I team vincenti lottano. Forse non le superstar ma di sicuro qualcuno lo fa. In tutti i team vincenti in cui sono stato ci sono state una o due risse, giusto per mettere le cose in chiaro. È così che funziona quella Lega, vinci o muori.
Una cosa che posso dire dopo esserci stato per 17 anni è che le persone comuni non hanno idea di quanto tu debba essere competitivo per arrivare alle Finals. Quando siamo arrivati alla prima finale nel 2002 e abbiamo perso con i Lakers ero distrutto. Poi ci siamo tornati nel 2003 e abbiamo perso con gli Spurs ero più che distrutto. Non l’ho mai più avuta prima di arrivare a Cleveland. Ho giocato così tanto, lavorato così tanto, ho un sacco di ricordi pazzeschi ma mi mancava la cosa più importante del Mondo. Ecco perché stavo andando fuori di testa sull’aereo che tornava da Toronto dopo Gara 4. Siamo sopravvissuti a quella serie e la ricompensa era il dover affrontare una delle squadre più forti di sempre.
A ripensarci ora però mi sento fortunato perché credo che anche a 100 anni da adesso, le persone continueranno a parlare delle Finals 2016. Non puoi dimenticare un 1-3, eravamo morti e la mia storia era finita, poi sono “arrivati” Kyrie Irving e LeBron James.
Recuperiamo ma Gara 7 è ancora nella Baia. Ero nello spogliatoio all’intervallo e pensavo all’importanza di quel momento e mi sono dovuto trattenere dal piangere. A mio parere quel 4° quarto contiene tre delle più grandi giocate nella storia delle Finali NBA. Ero seduto a un paio di metri dal canestro quando LeBron ha stoppato Iguodala, non ho mai visto nulla del genere sul parquet. È impossibile, LeBron è andato contro le leggi della fisica. Ero in campo per la tripla di Kyrie a un minuto dalla fine ed è stata forse la prima volta in vita mia in cui mi sono sentito come un tifoso che guardava la televisione, è stato uno dei tiri più coraggiosi che abbia mai visto.
E poi c’è Kevin Love, uno contro uno con Steph Curry con le Finals in bilico. Lui fermò Steph non una ma due volte e lo costrinse a un tiro impossibile, per me quella giocata è l’essenza del basket. Tutti i 50 e più anni che Cleveland stava aspettando un titolo. Alla sirena eravamo campioni, mi fermai e cominciai a singhiozzare. Non riuscivo nemmeno a muovermi, era troppo. E stata una cavalcata pazzesca, ho aiutato a portare un titolo a Cleveland.
Alcuni titoli significano tutto, grazie, Ohio.”