"Stockton il più difficile da marcare, Doncic non è da 1° scelta. Per il titolo dico Warriors": intervista a Gary Payton
Incontro Gary Payton a margine di un pranzo, organizzato da Samsung Italia, con alcuni membri della stampa. L’età ha modificato il suo fisico scultoreo, ma è ancora pronto a ringhiare col suo trash talking anche a tavola. E’ letteralmente uno spettacolo sentirlo, monopolizza l’attenzione: siamo pedine nelle sue mani. Parla un po’ di tutto in questa chiacchierata: LeBron, NBA moderna, del suo passato e molto altro.
Partiamo dall’inizio della sua storia, da Seattle: cosa pensa del fatto che Seattle non abbia una franchigia al momento?
<<Mi sento male, davvero male per la città e per i suoi tifosi ma dobbiamo lavorare. Prima di tutto dobbiamo costruire un’arena, poi dobbiamo capire dove reperire una squadra e in questo Adam Silver sta facendo un ottimo lavoro con noi cercando un expansion o qualcosa del genere. Ma noi dobbiamo lavorare. Sono molto fiducioso che torneremo ma dobbiamo essere pazienti.>>
I Sonics sono stati la sua prima squadra, cos’ha pensato la notte del draft quando ha indossato il cappellino ed iniziato la sua carriera?
<<Guarda, ero emozionato al pensiero di tutti i soldi che stavo per fare! (Ride) Quando giochi per le high school o al college giochi gratis, per il gusto del gioco invece arrivati in NBA diventa la tua professione. Senti l’adrenalina di andare a confrontarti con i migliori, di far vedere cosa sai fare. E’ il momento migliore il primo, perché è da lì che inizia tutto.>>
Nel grande stato di Washington ha giocato all’inizio degli anni’90 quando Seattle era sulla bocca di tutti per il basket ma anche per la sua musica grunge coi “Nirvana”, cosa ricorda di quel periodo?
<<L’isteria di massa che avvolgeva la città, era pazzesco! Noi abbiamo vinto più di 60 partite per due anni di fila e sai, vincere aiuta a vincere. Eravamo tutti motivati con una città i nostri piedi: semplicemente fantastico.>>
Quando penso a lei penso ad un vincente, non solo per la sua difesa ma anche per i suoi titoli. Non solo ha vinto un anello ma anche due medaglie d’oro: quale dei due le dà più soddisfazione?
<<La medaglia d’oro. La medaglia perché rappresenti il tuo paese e penso a tutti quei militari a cui sparano in testa o perdono gli arti mentre noi stiamo lì a giocare a basket. Loro non prendono una medaglia d’oro, non prendono niente e tornano a casa devastati. Noi dobbiamo essere onorati di poter vestire la scritta USA sul petto, quando dei giovani sono lontani per combattere ed assicurare la pace al nostro paese. Quando ci penso mi viene da dire solamente che sono loro che dovrebbero avere quella medaglia.>>
A proposito di nazionali, non so se ha seguito Eurobasket e la stellina Luka Doncic in procinto di passare in NBA l’anno prossimo…
<<A dire la verità guardo un po’ distrattamente il basket ormai, soprattutto quello europeo che è lontano dal mio tipo di gioco. Preferisco guardare il college e le high school, lì si che trovi la vera essenza della pallacanestro. Doncic prima scelta? Sicuramente in top 3, ma io al primo posto vedo molto bene Michael Porter Jr di Missouri: fa tutto quello che fa Doncic ma un pochino meglio.>>
Prima diceva che “Vincere un titolo è una questione di fortuna” quindi è questo quello che prova ripensando al titolo del 2006?
<<Vincere il titolo è il completamento per un carriera ma non è tutto. Non è che la tua carriera vale meno se non hai un anello, pensate a gente come Dominique Wilkins o Karl Malone: non penso proprio valgano di meno solo perché hanno chiuso senza il titolo.>>
Titolo che quest’anno andrà a…
<<Golden State, assolutamente i Warriors. Continuano ad essere i migliori, fanno girare la palla alla grande e hanno più giocatori che ti possono far male. Curry è marcato? Bang, palla a KD. Durant marcato? Bang, c’è Thompson: semplice no? Durant è stata l’arma in più, prima c’era Barnes dalla panchina ma vogliamo parlare del diverso impatto che hanno i due su una serie?>>
Ad Est invece?
<<Cleveland giocherà per il titolo. LeBron avrà della sua Isaiah quando tornerà e saranno devastanti. Boston? Ci ha perso, ha dato via tre giocatori per prenderne uno solo. Kyrie è un giocatore da uno contro uno, tanti palleggi ma poi? Hayward bene ma fa il suo non è una superstar.>>
Ha giocato contro i tre più grandi giocatori dell’era moderna: Jordan, Kobe e Lebron. Chi dei tre le ha dato più problemi?
<<Seriamente? Nessuno dei tre! (Sorride, mentre noi giornalisti iniziamo sguaiatamente ad applaudire e mimare la scena del “mic drop”, ndr.) Ma vi spiego perché: tutti e tre sono giocatori incredibili che vanno a mille allora ma ovviamente giocando 45/46 minuti devono per forza rallentare. Chi mi rendeva davvero la vita difficile era John Stockton. Jerry Sloan lo faceva giocare solo 30/35 minuti il che vuol dire che quando era in campo andava davvero a mille all’ora: non rallentava mai! Inoltre era un giocatore particolarmente duro, quindi con lui si che c’era da sudare.>>
Quindi qual è il successo più grande per la sua carriera?
<<Senza dubbio la Hall of Fame. Essere lì vuol dire davvero essere tra i grandi del gioco, vuol dire aver lasciato il proprio marchio nella storia. Non esiste riconoscimento più grande e ne vado davvero fiero.>>
(Dice sul serio, durante la sessione di autografi sulle foto da lui firmate campeggia la scritta HOF 2013: Hall Of Fame con l’anno della sua entrata.)
Parlando di grandi e dell’essere ricordati, come pensa che sarà ricordato?
<<Penso che, a parte per la difesa, sarò ricordato per essere stato uno di quei giocatori che hanno dato un impulso alle nuove generazioni per giocare. Io guardavo Magic o Bird, prima ancora Wilt (Chamberlain, ndr) e Bill Russel, Jerry West e cosi via. Spero che tanti giocatori di adesso siano cresciuti guardandomi in TV e abbiano appreso qualcosa dal mio modo di stare in campo.>>
Confesso che, alzandomi per ringraziare con annessa foto di rito, ho confessato che anche io ero uno di quelli che da piccolo ha iniziato a giocare guardandolo (mettendo comunque le mani avanti non essendo mai arrivato molto lontano). Scoppiando in una risata e guardandomi negli occhi ha semplicemente detto: “Thank you for the appreciation”. Assolutamente grazie a te Gary, grazie a te.