NBA FINALS - Perché i Cavaliers vinceranno l’Anello
1 – CAMPIONI IN CARICA – Sembrerà scontato, in realtà non è così. Ma quando si tratta di affrontare i campioni in carica è ovvio dare loro gli onori del pronostico. Soprattutto se, nel corso dell’anno, non hanno solo dimostrato di essere assolutamente in linea con la stagione precedente, ma anche hanno saputo eliminare quei momenti di impasse (più mentale che fisica) mostrati l’anno scorso.
I Cavaliers in pausa nel bel mezzo delle partite, stagione regolare o Playoffs, non si vedono più: l’unico elemento di disturbo è stato qualche passaggio a vuoto di troppo sul finale della regular season, ma nulla che non si potesse prevedere e, soprattutto evitare.
Hanno al dito l’anello e faranno di tutto per metterne un altro, dopo una stagione così.
2 – I RINFORZI – Tutti guardano ancora l’estate dei Warriors: l’arrivo di Durant sembrava poter spostare gli equilibri, ma in realtà, analizzato meglio, si scoprirà come il mercato migliore l’abbiano fatto proprio a Cleveland.
Bravissimo Griffin: nessun super colpo estivo (non ne avrebbero avuto bisogno), ma la capacità di integrare il poster anche a stagione in corso: Korver prima, Deron Williams poi. Uomini e giocatori capaci non solo di regalare alternative a Lue ma anche di innestare un processo di crescita nel poster di Cleveland.
Le scelte erano ricadute anche su Bogut, solo il pesante infortunio non gli ha permesso di essere qui ora, a giocarsi il titolo contro la sua ex squadra.
3 – LE CERTEZZE – Nessuna rivoluzione e qualche tassello in più. Rispetto ad un anno fa, infatti, i Cavaliers avranno probabilmente in campo gli stessi volti, eccezion fatta per le aggiunte di cui abbiamo già detto. Un anno in più di esperienza, però, fa la differenza; soprattutto la coscienza di avercela già fatta a superare Golden State, ad arrivare fino in fondo. Un anello al dito, il primo per molti, regala consapevolezza: una su tutte la situazione relativa a Kyrie Irving, capace di migliorare anche di più il livello visto esattamente un anno fa.
Ha acciuffato lui la vittoria in Gara 7, ha sbattuto lui via i Warriors a Natale. Oggi è il simbolo dei Cleveland Cavaliers. I Cavaliers che non sono LeBron.
4 – IL PERCORSO – 51 vittorie e 31 sconfitte in Regular Season, mentre siamo 12-1 in questi Playoffs. Se eliminassimo il passaggio a vuoto coi Celtics in Gara 3 delle Finali di conference (una gara unica nel suo genere e difficilmente ripetibile) il percorso dei Cavs nella Post Season sarebbe perfetto, come i dirimpettai ad Ovest.
Sembra strano dirlo, ma nelle 12 vittorie conquistate da Cleveland è sembrata esserci più facilità che in quelle conquistate da Golden State: in pratica, una passeggiata sempre, con scarti che hanno anche registrato nuovi record.
Durante l’anno, poi, Lue ha avuto anche la possibilità di ampliare la conoscenza della squadra, dei giochi, delle dinamiche di gruppo: sa quando farsi da parte per lasciare ai giocatori la parola, sa quando deve imporsi e far seguire la sua strada. Se ha saputo guidare Cleveland un anno fa in pochi mesi di panchina, una stagione intera alle spalle può fare la differenza.
5 – LEBRON – Ultimo per ordine, non per importanza. Che stia giocando il basket migliore della sua carriera non lo diciamo noi, ma i numeri prodotti.
32,5 punti di media a partita, secondo miglior dato in carriera dietro solo ai 35,3 a uscita registrati nella postseason del 2009. In carriera sono a 28,28 a gara, quinto risultato migliore di ogni epoca. La tripla nel finale di Gara 5 contro Boston gli ha permesso di diventare primo nella classifica dei migliori realizzatori nella storia dei playoff NBA, superando Michael Jordan fermo a quota 5987. Il traguardo dei 6000 punti è lì, dietro l’angolo, raggiungibile già in Gara 1 delle Finals, nella notte italiana tra giovedì e venerdì.
Le Finals, appunto: quelle che cominceranno tra qualche giorno sono le ottave della sua carriera, le settime di fila. Solo i membri storici dei Celtics di Russell ci erano riusciti. Nessuno, però, aveva mai portato due diverse squadre NBA a 4 Finals, come lui ha fatto con Cleveland e Miami.
Mette insieme il 56,6% dal campo, per l’ennesima volta suo miglior risultato di sempre, e conquista anche 8 rimbalzi e 7 assist a partita.
Basterebbero i numeri a raccontarlo, invece LeBron è molto di più di quanto snocciolato: un simbolo, un leader, l’uomo dietro cui si riconosce un’intera città, uno Stato. Ormai sa bene come si giocherà alle Finals e avrà voglia di portarsi a casa il suo anello numero quattro…