Cosa ci rimane della serie tra Celtics e Wizards
Il verdetto di gara-7 consegnerà anche ad Est la finale di conference tra le prime due della regular season. Si comincia al TD Garden, nella notte tra mercoledì e giovedì, con Cleveland che torna finalmente a giocare. Ma prima di cominciare il percorso di avvicinamento a questa nuova serie, guardiamoci indietro per un momento per tracciare un bilancio di quella appena trascorsa, tra Celtics e Wizards, in cinque punti.
1) Responsabilità condivise
I Boston Celtics non sono solo Isaiah Thomas. Un concetto che era già chiaro fin dal suo arrivo, ma che si è evoluto. Prese le redini della squadra, IT ha sempre e comunque messo in ritmo i compagni, tenendo ben saldo il termometro della gara per capire quando intervenire. Riservava metà o più dei suoi punti all’ultimo quarto, quando la palla pesa un po’ in più, guadagnandosi così il soprannome di “King of The Fourth”. Ma nella serie con Washington, Thomas ha preferito equilibrare il suo apporto e diversi tiri decisivi sono stati presi da Horford, Bradley e addirittura dal rookie Brown. Il che vuol dire che il percorso di crescita quanto ad affidabilità di squadra dei Celtics potrebbe portare a risultati davvero importanti nel breve termine. Soprattutto se la franchigia riuscisse a rinforzarsi in estate.
2) Superstar
Non proprio il massimo da dire, dopo una gara-7 che l’ha visto eclissarsi nel secondo tempo. John Wall, negli ultimi 19 minuti, ha fatto registrare 0 punti, frutto di uno 0/11 dal campo (0/7 da tre). Tuttavia, già dalla regular season era evidente un cambio di marcia rispetto al passato: ha toccato, infatti, il massimo in carriera in quanto a punti (23.1), assist (10.7) e rubate (2). Dati che ha mantenuto sostanzialmente simili anche nei playoff, dove è riuscito ad innalzare notevolmente l’apporto di punti, alzatosi a 27.2 per ogni allacciata di scarpe. Vero ago della bilancia dei Wizards, la sua consacrazione è arrivata e quanto fatto vedere di buono da Washington quest’anno potrebbe essere un fattore importante nella prossima free agency.
3) Il centro del futuro
L’arrivo di Al Horford fu accolto con entusiasmo dal popolo biancoverde, le qualità del giocatore erano ben note. Ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che avrebbe incarnato appieno le caratteristiche del centro del futuro. Nel corso della regular season, Horford ha chiuso con 5 assist di media, primo in assoluto tra i pari ruolo. Ai playoff ha addirittura migliorato il dato, facendone registrare 5.8 a partita. La crescita che ha maggiormente impressionato, tuttavia, riguarda la sua percentuale da tre. Infatti, in stagione ha tirato con un discreto 35%, mentre in post-season è diventato una sentenza, dall’alto del suo 58,3%, a cui si arriva da un 21/36 dalla lunga distanza. Un tiro, peraltro, preso sempre dalla punta, quando Thomas lo battezza su un pick&pop o quando la difesa lo sfida (c’è ancora qualcuno che lo incoraggia) a tirare da lontano. I Cavaliers, che conoscono bene la figura del lungo tiratore, sono avvisati.
4) Riconoscimento
A margine di questa stagione, un aspetto da rimarcare necessariamente è il lavoro compiuto da Scott Brooks sui Washington Wizards. Del coach si è sempre detto che fosse un ottimo allenatore, ma su di lui è sempre gravato lo spettro di capacità tecniche elevate soltanto dal talento impressionante di Durant e Westbrook. Fermo restando, insomma, il potere di coagulante umano visto ad Oklahoma City, che ha potuto sfoggiare anche con i capitolini. Infatti, grazie anche al suo contributo, i disaccordi iniziali tra Wall e Beal, la cui entità sarà stata anche gonfiata ma che magari un fondo di verità ce l’ha, sono stati presto risolti. I due hanno confermato una crescita importante nonostante il cambio di allenatore, affinando l’intesa e trovando equilibrio nelle letture e nelle scelte offensive.
5) Off the bench
Le rotazioni magari si accorciano, in post-season, ma restano fondamentali vista l’intensità delle sfide. Boston e Washington hanno avuto due percorsi simili e dispendiosi, quindi un fattore fondamentale sarebbe stato la panchina. Quella dei Celtics è consolidata in una serie di fedelissimi di Stevens, a cui ogni anno l’allenatore si attiene ad aggiungere i giovani draftati. I Wizards invece l’hanno assemblata in corso d’opera, con gli innesti di Jennings e Bogdanovic, arrivati a cavallo tra febbraio e marzo. Il peso dei panchinari è stato enorme, specialmente in gara-7 (e specialmente grazie ad Olynyk, nella circostanza), dove i biancoverdi hanno beneficiato di 48 punti contro i 5 arrivati dalle riserve dei capitolini. Nella serie, il dato è ancor più netto: in media, la panchina di Boston ha prodotto 33 punti, mentre quella di Washington soltanto 24 a partita.