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Cosa ci è rimasto di Cavaliers-Raptors

Una domanda semplice, forse anche troppo semplice se si guarda ad uno sweep che sembrava annunciato. Noi, però, delle previsioni non sappiamo cosa farcene perché se esiste uno sport completamente imprevedibili, quello è sicuramente la pallacanestro. Abbiamo, quindi, provato ad andare oltre le semplici chiavi di lettura di una serie che ha visto un dominio piuttosto netto, andando ad analizzare i 5 punti fondamentali del secondo turno di Raptors e Cavaliers. I 5 punti – o se preferite le 5 cose che ci ha consegnato la serie – non vogliono essere una sorta di pagella quanto più uno spunto di discussione nato dal confronto dei caporedattori di NBA24. Andare al di là di un 4-0 che lascia poco scampo a discussioni, se non quelle prettamente interne alle due squadre, non è stato semplicissimo, perché i quattro atti delle semifinali di EC sono stati un monologo più che un botta-e-risposta. Procediamo con il consueto ordine:

1. “World, the time has come to push the button. World, my finger, is on the button…

La frase ideata dai The Chemical Brothers e inserita all’interno di un pezzo cult come Galvanize sembra essere uno dei mantra dei wine-and-gold. L’ideale movimento di “spingere un bottone” ed azionare i molti cavalli in più a disposizione del motore dei Cavaliers sembra essere un’arma incredibilmente efficace, soprattutto se parliamo di un contesto di Eastern Conference. Sia nella serie con i Pacers (un poi più a fatica) che in questa appena conclusa con i Raptors, LeBron James & Co. hanno dato la netta sensazione di poter accelerare e chiudere la gara in ogni momento. L’affidabilità dei tiratori, l’incredibile vena realizzativa di LBJ dalla lunga distanza, l’indescrivibile sangue freddo di Irving nei finali di gara sono frecce pronte ad essere scoccate dall’arco dei Cavs. La facilità di riprendere a giocare in qualsivoglia momento della gara, però, è un’arma a doppio taglio per gli uomini di coach Lue: l’aspetto mentale, spesso, non può essere ripristinato e resettato di punto in bianco. Più il livello sale e più il “dito sul bottone” diventa meno efficace? Il postulato direbbe questo ma mai scommettere contro una squadra dal talento infinito come i Cleveland Cavaliers. I campioni in carica possono benissimo restare inermi per un tempo intero e poi azzannarti nel secondo, così come possono dominare una partita e perderla negli ultimi 5 minuti. L’8-0 attuale dà ragione alla teoria dei The Chemical Brothers.
L’esser diventati ancora più pericolosi – anche in termini numerici – rispetto ad un’opaca RS li pone in una posizione che potremmo definire “conveniente”. La principale differenza, invece, rispetto alla serie precedente giocata e vinta contro gli Indiana Pacers sta nell’apporto di un supporting cast che, quando chiamato in causa, ha fatto il suo dovere non sbagliando nemmeno un colpo. Sul “chi possa stuzzicare mentalmente e tatticamente LeBron James” si potrebbe poi ragionare ma per il momento il campo indica una sola direzione.

2. The Undefeated Land (per ora)

La “difesa della terra” al momento funziona: Cleveland è imbattuta dopo 8 gare ed è arrivata alle Eastern Conference Finals attingendo relativamente alle energie di riserva. I minuti giocati dalle stelle non sono stati modificati (escluso LeBron che è passato dai 37.8 minuti di media in RS ai 42.4 nei PO) e questo va a totale vantaggio dell’obiettivo principale di James da qui alle eventuali Finals, ovvero sia arrivarci integri e non troppo affaticati. La sensazione è stata palese quando James ha concluso G4 con 46:11 minuti giocati pur di avere dei giorni di riposo dove poter recuperare al meglio. Stanotte la serie tra Washington e Boston potrebbe finire e accorciare dunque l’attesa per le EC Finals ma, nel frattempo, i Cavs si godono un riposo che è come oro. Il dominio di Cleveland dimostrato finora è un segnale chiaro ai rivali dei Celtics, favoriti per accedere alle finali di conference. Questi successi, per rimanere in tema Celtics, “are not lucky” ma hanno un fondamento ben riscontrabile: il tiro da 3 punti. Il 43.4% da 3 punti con il quale hanno chiuso queste prime 8 gare di post-season la dice lunga sulla stato di forma dei Cavaliers. Il 46.8% dall’arco di James, poi, è il vero fenomeno delle prime due serie. Jasmes, però, è seguito a ruota da Love (40.5% con 15/37), da Frye (55.2% con 16/29), da Korver (48.5% con 16/33), da Smith 44.1% con 15/34), da Williams (60% con 9/15) e da Shumpert (40% con 4/10). Se dovesse continuare così, il concetto di “triplice minaccia” potrebbe essere limitativo. Il campo che si allarga a dismisura – soprattutto con il quintetto costruito ad hoc per King James – è uno degli aspetti offensivi che difficilmente potrà essere limitato dalle difese avversarie, così come resta singolare (ed efficace) la scelta di raddoppiare DeRozan e di “zonare” sugli altri 4. La tattica difensiva di Lue ha pagato enormi dividendi in una serie in cui DeMarvelous è stato un fattore piuttosto limitato, al di là dei numeri che alla fine ha messo insieme.

3. Spaces out and mind elsewhere

Spaces out” e “Mind elsewhere” sono due espressioni del gergo americane utilizzate per indicare qualcuno che ha la testa altrove. Le prendiamo in prestito dallo slang d’oltreoceano per descrivere l’impressione che abbiamo avuto nel guardare le due super star dei Raptors, ovvero sia Kyle Lowry e DeMar DeRozan. Seppur in misura diversa, le due stelle dei canadesi hanno avuto un atteggiamento che nessuno probabilmente si aspettava. DeRozan ha gettato la spugna quasi immediatamente, ammettendo la forza di James (cosa apprezzabile ma non a metà serie), mentre Lowry non ha rischiato neanche un po’ dopo l’infortunio, dando l’impressione di essere più attento ad uscire dal contratto immediatamente dopo la fine di questa stagione che ad aiutare i suoi compagni di squadra a risalire da un complesso 2-0. Il volersi “risparmiare” – al netto comunque di un infortunio evidente e sicuramente doloroso – non è sintomo di un giocatore che vuole affermarsi in una squadra e le indicazioni, i messaggi mandati da Lowry nel corso di questo turno di playoff sembrano abbastanza chiari: Toronto non sarà più la sua casa. DeRozan, invece, è stato l’ultimo ad alzare bandiera bianca ma non è riuscito ad essere leader all’interno di uno spogliatoio che ha giocato poco con due innesti mandati subito in quintetto. Il body language delle stelle è quello che deve trascinare la squadra e l’ambiente e se nelle scorse finali di conference tra le due squadre ci sono stati molti momenti in cui la squadra è stata di peso caricata sulle di DeRozan, in queste semifinali si sono visti poco o nulla. Merito della difesa di Cleveland o della Spaces Out Theory? Noi scegliamo la seconda opzione.
Anche coach Casey, sotto un certo punto di vista, ha inseguito questo trend, riuscendo a far peggio della scorsa stagione con un roster decisamente migliore (vedesi Tucker e Ibaka). Si può, quindi parlare di fallimento per Casey, ideatore di un progetto che in molti danno sul viale del tramonto.

4. North Revolution in sight

Proprio dal fallimento stagionale di Toronto si può aprire la finestra della rivoluzione, della ricostruzione o se preferite del rebuilding. Il GM della franchigia canadese, Masai Ujiri, ha dichiarato nel dayafter che Toronto ha bisogno di un “culture reset”, un vero e proprio cambio di marcia in tutti i sensi. Quello che prevede il General Manager nigeriano potrebbe essere letta in diversi modi: qualcuno l’ha interpretata come una frase volta ad un deciso cambio di stile di gioco (con conseguente esonero di Casey); qualcun altro l’ha letta come un modo per annunciare una rivoluzione totale (liberandosi delle zavorre contrattuali di DeRozan & Co.); altri ancora l’hanno letta come un modo per investire in qualche giocatore che abbia una mentalità da vincente, che abbia già vinto ed è pronto a farlo con la maglia dei Raptors. In ogni caso, dunque, si prevedono grandi cambiamenti in Ontario, dove la passione per i Raptors è al massimo storico ma dove i risultati non arrivano ormai da troppi anni. Come rendere il progetto vincente? Come rendere Toronto una vera contender? Queste sono le domande che ogni membro dell’Air Canada Centre e del Jurassic Park si sta ponendo in queste ore e che continuerà a porsi da qui a luglio. Lowry sembra definitivamente in uscita, DeRozan ha un contratto lungo ed incombente, Ibaka e Valanciunas sono in bilico, con un pacchetto di gregari dalla complessa situazione contrattuale. Questa “caduta di risultati” conferma che il progetto Raptors, così com’è strutturato adesso, non è per niente vincente.

5. Gregari di lusso

Avere delle stelle ti aiuta a vincere le partite, avere dei gregari pronti ti aiuta a vincere i campionati. Potrebbe essere stata pronunciata da qualsiasi GM, coach o top player NBA, perché è semplicemente la realtà dei fatti: in squadre in cui ci sono almeno due super star, se non si ha un supporting cast di livello, non si va tanto lontano. Lo sa James, lo sa David Griffin e lo sanno i Cleveland Cavaliers. Il nostro punto 5 è forse il più scontato ma in un contesto di playoff nulla va dato per scontato. La panchina dei Cavs è un lusso che nessuna squadra può permettersi perché nessuna squadra ha 10 giocatori veri, completi e funzionali per un sistema definito. L’inserimento in corsa di pezzi come Frye (nella scorsa stagione), di D-Will e Korver quest’anno, passando per lo sfortunato caso Bogut e il misterioso caso Derrick Williams, ha permesso alla franchigia dell’Ohio di non abbassare troppo la guardia quando i vari LeBron, Kyrie e K-Love vanno a rifiatare in panchina. Avere dei gregari di lusso ti permette di poter fare affidamento su specialisti, su giocatori messi sotto contratto per fare una cosa ma che funzioni sempre: Korver per tirare dagli scarichi, Frye per allargare il campo, Williams per dare minuti preziosi a Irving senza perdere qualità in cabina di regia, Jefferson come stopper difensivo per far riposare per pochi attimi James. Ognuno ai Cavaliers ha il suo compito e se lo eseguono con puntualità fanno dei Cavs una macchina offensiva perfetta.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone