Dieci giocate per spiegare l'All Star Game
Dicono che all’All Star Game si faccia sul serio solo negli ultimi cinque minuti dell’ultimo quarto, dopo un’ora e mezza abbondante di melina ad uso e consumo del pubblico e dello spettacolo. Forse è per questo che alcune (ma non tutte) delle giocate più celebri della partita delle stelle siano avvenute on the clock, quando lo show lascia lo spettacolo all’agonismo vero. Ne abbiamo selezionate 10, senza per forza volerle incolonnare classifica: per noi, sono tutte ugualmente belle, speciali, memorabili.
Tra i protagonisti degli ultimi anni c’è certamente Stephen Curry. Nel 2015, anno di grazia suo e dei Golden State Warriors, il 30 ha dato spettacolo al Madison Square Garden di New York. Prima rivisitando il concetto di alley oop con James Harden:
Poi dando dimostrazione di ball handling al cospetto di uno come John Wall:
Probabile che Steph abbia tratto ispirazione da Allen Iverson, MVP nel 2001, grazie anche a giocate come questa:
Quell’ASG, però, viene ricordato anche per come Larry Brown, coach dell’Est, guidò la rimonta vittoriosa contro gli avversari dell’Ovest: Mutombo e quattro guardie, con il tiro della vittoria firmato Stephon Marbury.
L’anno dopo sarebbe stata la volta della “Remix”, ovvero Tracy McGrady above and beyond con un qualcosa di mai visto prima (e dopo):
Oh, a proposito del concetto di “elevarsi”. Nel 2008 LeBron James (MVP a quota 27 punti) decise di farlo letteralmente con questa schiacciata paurosa:
Anche se niente raggiungerà mai l’eleganza, intrisa di nostalgia, del fade away con cui Michael Jordan credeva di aver sigillato l’ASG 2003 (il suo ultimo), nonostante una difesa ai limiti della perfezione di Shawn Marion:
Il condizionale fu d’obbligo perché ci pensò Kobe Bryant a mandare quella partita all’overtime (doppio) con due tiri liberi a bersaglio su tre, rovinando l’ultimo ballo di MJ. Una chiara anticipazione di quel che sarebbe accaduto nel 2006, con una giocata ai limiti del surreale per pareggiare a quota 120 una gara che si stava mettendo male per la Western Conference:
In questo modo Kobe si mise in piena continuità con altri due grandi finishers del passato gialloviola in grado di fare la differenza sotto pressione anche all’All Star Game. Il primo fu Jerry West, il “Mr. Clutch per eccellenza, MVP nella gara del 1972 grazie al tiro decisivo preso e, naturalmente, mandato a bersaglio:
Il secondo, altrettanto naturalmente, fu quel Magic Johnson che, poco tempo dopo aver rivelato al mondo di essere alle prese, forse per la prima volta, con un avversario più grande di lui, fu il giocatore più votato per partecipare all’All Star Sunday del 1992 (pur non avendo disputato un solo minuto della stagione in corso), diventando l’MVP con 25 punti, 9 assist e il tiro decisivo. Come nella migliore delle favole possibili:
Perché l’All Star Game è anche, se non soprattutto, questo: emozioni. Tante, incredibili, fortissime. E, in fin dei conti, chi se ne importa se sono tutte concentrate negli ultimi cinque minuti di partita?