Grandi delusioni e periodi altalenanti, cosa è successo ai Dallas Mavericks?
Tra i temi principali di questa stagione Nba ormai entrata sempre più nel vivo non si è forse parlato abbastanza di una delle franchigie da tutti considerate ad inizio anno punto fermo nella corsa playoff e che invece sta vivendo dal punto di vista dei numeri (e non solo) la peggior annata degli ultimi vent’anni. E’ dal 1998-99 infatti che i Mavs non si trovavano in questa fase della stagione con un record peggiore del 15-29 (34.1%) di quest’anno che gli è finora valso solamente un deludente tredicesimo posto ad Ovest, dimostrazione lampante del fatto che forse in Texas si è definitivamente chiuso un ciclo che il vulcanico proprietario Mark Cuban dovrà esser bravo ora a rinnovare.
Indizi poco confortanti erano arrivati già ad inizio anno per i Mavs da un mercato estivo fatto più di illusioni che di reali colpi, sicuramente l’addio di un elemento fermo del quintetto come Chandler Parsons e soprattutto il sogno Kevin Durant che come sappiamo non è divenuto realtà hanno influito negativamente sulle ambizioni dei texani, se a ciò aggiungiamo poi la mancanza di una prima scelta al draft ancora a causa della disastrosa trade in cui fu coinvolto Rajon Rondo, una panchina fatta più di promesse che di certezze e l’età che avanza per i vari Nowitzki e Barea i risultati ottenuti non sembrano così distanti dal reale valore del roster dei ragazzi di Carlisle. Sicuramente da coloro che sono arrivati quest’anno ci si aspettava di più, gli ex Warriors Barnes e Bogut infatti hanno vissuto una prima parte di stagione fatta più di ombre (tante) che di luci (poche) e nonostante nelle ultime settimane soprattutto dal primo siano arrivati segnali positivi di ripresa non sarebbe un’eresia sostenere che entrambi non hanno aggiunto o tolto nulla a ciò che era l’anno scorso il valore complessivo del roster dei Mavs, roster che necessita per forza di cose di una vera e propria rivoluzione per non sprofondare nell’abisso della mediocrità che la loro posizione attuale in classifica rappresenta oggi.
Sulla stagione come abbiamo visto i numeri parlano chiaro, il 34.1% in 44 partite collezionate è onestamente troppo poco per ambire ad agganciare il treno playoff, eppure rispetto ad inizio anno dove Dallas sembrava veramente una squadra senza identità si sono susseguite diverse fasi nelle quali più volte i texani hanno dimostrato di poter essere una compagine che con i giusti ritocchi può fare bene e riprendere la giusta rotta smarrita nell’ultimo anno. Dopo i mesi di ottobre e novembre infatti Nowitzki e compagni sono stati per lungo tempo addirittura la peggior franchigia della lega per percentuale di vittorie, le otto sconfitte di fila collezionate a cavallo fra i due mesi iniziali di regular season hanno rappresentato allo stesso tempo l’inizio ed il punto più basso di una stagione in cui dopo aver toccato così presto il fondo il difficile era soprattutto trovare un senso ad un campionato che difatti non è mai iniziato per i texani. Poi finalmente i primi sussulti di ripresa grazie soprattutto alle buone prestazioni di Barnes, alla novità Seth Curry e ad un ritrovato e sempreverde Nowitzki che hanno permesso ai Mavericks di chiudere l’anno in maniera più che dignitosa; se a questo poi aggiungiamo la ritrovata verve sia di Matthews che soprattutto di Deron Williams con il nuovo anno ed i buoni risultati del mese di gennaio tentare un’improbabile (ma non impossibile) rimonta nella seconda parte di campionato è obiettivo da non sottovalutare. Sicuramente un’inversione di tendenza rispetto ad ottobre c’è ed è sotto gli occhi di tutti anche e soprattutto perché peggiorare la situazione sarebbe stato forse impresa più ardua del migliorarla, ma ai Mavs va sicuramente reso il merito di aver cercato (e forse trovato) quegli stimoli che ad inizio anno dopo il mercato deludente e la partenza choc era necessario trovare, se non altro per il sempre e comunque caloroso pubblico che popola gli spalti dell’American Airlines Center e soprattutto per il sempre enorme lavoro di un’istituzione di questa lega come coach Carlisle bravo a non perdere la testa ed a tenere in piedi la baracca nonostante le mille difficoltà.
Quali saranno ora gli obiettivi a breve e soprattutto a lungo termine per i Dallas Mavericks è difficile ipotizzarlo, certamente chiudere questa stagione nel miglior modo possibile per gettare le basi di un processo di rinnovamento sano sarà fondamentale così come provare a raggiungere fino alla fine il treno postseason è d’obbligo se negli ultimi vent’anni ai playoff non ci sei andato solamente in un’occasione, senza contare che questa stagione potrebbe rappresentare il canto del cigno di un campione assoluto come Nowitzki, e rendere onore a Wunder Dirk regalandogli un finale di stagione da ricordare è motivazione da non sottovalutare in quel di Dallas. Per quanto riguarda il futuro invece abbiamo ripetuto più volte che sarà racchiuso tutto nell’asse Cuban-Carlisle e nella loro capacità di dare nuova linfa ad un progetto che negli anni ha portato a tante soddisfazioni e soprattutto al titolo del 2011, fondamentale sarà valorizzare al meglio i giovani che bene stanno facendo quest’anno (Finney-Smith e Brussino su tutti) e cercarne di nuovi che siano altrettanto interessanti, aggiungere potenziale offensivo ad un attacco che non potrà contare all’infinito su elementi tanto talentuosi quanto discontinui come Barnes, Matthews o Williams ed infine riuscire a sostituire un leader come Nowitzki senza rompere eccessivamente gli equilibri già piuttosto fragili di una squadra in cerca di identità.
Il percorso sarà sicuramente duro e tortuoso ma in Texas a questo sono stati abituati come si deve nel corso degli ultimi anni, l’inversione di rotta è possibile e forse è già iniziata, in fondo i Mavs sanno di essere squadra da playoff, devono solo farsene una ragione e lottare fino alla fine.