I signori della tripla doppia: Harden vs Westbrook
Questa notte Russell Westbrook e James Harden si incroceranno alla Chesapeake Energy Arena in uno degli incontri più attesi di questo inizio di regular season 2016/2017. E non solo perché, banalmente, passato presente e futuro cestistico di Thunder si ritroveranno ancora una volta sullo stesso parquet al grido di “ciò che poteva essere e non è stato”. Rockets vs Thunder, infatti, è anche la sfida nella sfida tra i giocatori che, più di tutti, hanno nelle corde la possibilità di replicare la clamorosa stagione 1961/1962 di Oscar Robertson, quella della tripla doppia di media. Entrambi sono nella top 5 dei marcatori (Westbrook secondo a 32 punti di media a gara, Harden quarto a 30.3), entrambi guidano la classifica degli assist (12.6 il “Barba”, 9.9 RW0) e sono le uniche SG/PG presenti tra i primi 40 giocatori per rimbalzi presi (7.9 Harden, 9.7 Westbrook).
Ma chi tra i due impatta maggiormente in termini di risultati di squadra con le clamorose prestazioni individuali fatte registrare in questo primo mese di stagione?
James Harden
Numeri e prospettive a medio-lungo termine dei Rockets a parte, la situazione del “Barba” è quella più interessante. La scelta di Mike D’Antoni di ricalibrarne ruolo e responsabilità all’interno del contesto di squadra sta pagando enormi dividendi. A fronte di un record di 6 vinte e 4 perse, Houston è attualmente la quarta forza ad Ovest (seconda nella SouthWest Division), la nona squadra in termini di punti segnati (107.8 di media, con il picco dei 110 fatti registrare in trasferta), la settima per quanto riguarda gli assist (23.8).
Offensivamente parlando, mettere Harden “al centro del villaggio” si sta rivelando un più che discreto affare: il #13, agendo da playmaker, non solo sta vivendo la sua migliore stagione dal punto di vista realizzativo da quando è in Texas (30.3 punti di media con il 49.7% dal campo, massimo in carriera), ma si sta rivelando anche un ottimo gestore di ogni singolo possesso di squadra. I Rockets tirano in media 83.7 volte a partita (19.1 Harden) con un più che accettabile 46.5% dal campo (37.2 da tre): un netto passo in avanti rispetto alla scorsa stagione quando, a fronte dei 106.5 punti di media, tiravano con poco meno del 45% dal campo e il 34.7 dall’arco, con il “Barba” che prendeva più conclusioni (19.7 a gara) con una minore precisione (43.9%).
Un cambiamento radicale che il diretto interessato ha spiegato così dopo la vittoria contro i Sixers (33 punti, di cui 23 in un primo quarto da 8/8 dal campo): «Ci sono molti più spazi, sia per andare a canestro in prima persona che per creare ottime opportunità di tiro per i miei compagni. Prima era tutto molto più complicato perché le distanze tra noi non erano corrette e in ogni zona di campo c’era troppa densità. Oggi, invece, chi ci affronta deve rispettare i nostri tiratori e stargli dietro per non pagare dazio». Il segreto, quindi, sta nelle corrette spaziature del nuovo sistema D’Antoniano, volto ad aprire il campo e a dare quanto più spazio possibile ai tiratori, tanto in transizione quanto sugli scarichi e/o in uscita dai blocchi. Con la bontà dei risultati che è testimoniata dalla shot chart di squadra:
Dati confermati se si guarda anche alla mappa di tiro di Harden: essendo uno dei giocatori che più ama giocare il p&r in transizione (il cosiddetto drag), tanto per una penetrazione quanto per liberarsi al palleggio arresto e tiro dalla media, è la principale causa delle errate rotazioni difensive avversarie che, in fase di raddoppio, tendono a lasciare campo ad uno dei giocatori perimetrali libero di colpire a piacimento. Una situazione che stava sfruttando al meglio Eric Gordon, autore di 27 punti (con 7/13 dall’arco) in occasione dell’ultima sconfitta al Toyota Center contro i San Antonio Spurs. Il tabellino di Harden in quella partita? 25 punti, 11 rimbalzi e 13 assist.
C’è poi un ulteriore statistica che dice meglio di tante parole: ad oggi il “Barba” è a quota 126 assist, ben 20 in più di tuti i suoi compagni di squadra messi assieme. L’impatto positivo sui risultati di questa prima versione dei Rockets 2016/2017 è evidente e, al momento, innegabile.
Russell Westbrook
I Thunder (ottavi a Ovest) stanno vivendo il momento più difficile di questo inizio di stagione: quattro sconfitte consecutive che li hanno visti precipitare nelle classifiche di punti (diciottesimi a 103.1 di media, 93 in trasferta) e assist (ventiduesimi a 20 di media). E se un giocatore in grado di scrivere 41 con 16 assist o 12 rimbalzi (o, per risalire a qualche settimana fa, 51, 10 e 13) non riesce nell’economia della squadra qualcosa non va.
Soprattutto perché, similmente a quanto detto per Harden, anche per RW0 bisogna parlare di una rinnovata centralità all’interno della squadra. Il motivo è persino scontato: la partenza di Durant in direzione Golden State ha fatto sì che, dal punto di vista offensivo tutto fosse demandato alle capacità del figlio prediletto di Long Beach. Il quale non sempre interpreta questa responsabilizzazione nel modo migliore: rispetto alla stagione scorsa, Westbrook tira molto di più (23.5 tentativi di media contro i 18.1 del 2015/2016) con un percentuale dal campo più bassa (44.2 vs 45.4) e con il tiro da tre che tende ancora ad andare e venire nonostante i netti miglioramenti (dal 29.6% si è passati al 33.9).
Una situazione che si riflette anche sull’andamento complessivo dei flussi di gioco di OKC: che sta tirando di più rispetto a quando c’era KD35 (88.1 tentativi vs 86.3) segnando di meno (103 vs 110). Un confronto che si fa impietoso se si guarda proprio ai Rockets che segnano quasi 4 punti in più tirando quattro volte in meno.
La spiegazione va ricercata nel fatto che i Thunder, come tutte le squadre molto fisiche, tendono a dare il meglio in situazioni di transizione o in gare dai ritmi molto alti, trovando, invece, grandi difficoltà contro squadre dalla dimensione fisica maggiore o quelle che riescono a portare la gara sui binari preferiti (ad esempio gli Spurs). Il non riuscire ad elaborare soluzioni sempre adeguate a ciò che la difesa propone fa sì che, in situazioni di difficoltà nell’attacco alla zona, ci si affidi quasi esclusivamente agli isolamenti dello stesso Westbrook. Il quale, già di suo, non è che brilli per capacità di scelta di momento e tipo di tiro adatti alla singola situazione.
Ecco perché i numeri, seppur nella loro freddezza, non sempre raccontano tutta la verità. Perché se fermaste qualcuno per strada e gli diceste che uno in grado di far registrare la metà delle triple doppie stagionali fin qui fatte registrare nell’intera lega, oltre a cinque partite da almeno 30 punti, 10 rimbalzi e 5 assist (gli altri giocatori due in tutto: Kemba Walker e, guarda caso, Kevin Durant), non riesce a incidere sulle prestazioni e sui risultati della sua squadra, verreste presi per pazzi.
Eppure, come avete visto, ci sono triple doppie e triple doppie. Riuscire a farle fruttare sotto tutti i punti di vista (personali e collettivi) sta alla capacità del singolo di adattarsi alla nuova condizione di leadership. E, per ora, Harden sta facendo meglio di Westbrook, indipendentemente dal valore assoluto dei due.