California Dreamin'? I nuovi Warriors di Curry e Durant
Non poter perdere. E’ questo il destino dei Golden State Warriors 3.0 di Steve Kerr. E non solo perché è arrivato Kevin Durant alla ricerca della giusta argenteria che legittimi il suo spaventoso talento. Nella Baia si è venuto a creare un pericoloso hype che porterà, a breve, al seguente sillogismo: se si vince si sarà fatto quel che era lecito attendersi, se si perde sarà un fallimento senza mezzi termine. Non dovrebbe essere così, ovviamente, perché nelle oltre 100 partite della stagione di una contender può succedere tutto e il suo contrario, senza che per questo allenatore e giocatori ne siano direttamente responsabili; ma si tratta del giusto prezzo da pagare per aver costruito (con fortuna, abilità e firme giuste nel corso degli anni passati) quello che i Damian Lillard i turno etichettano come ‘superteam’.
DOVE L’ABBIAMO LASCIATA – ’73-9 don’t meaning a thing without the ring’. Ci perdonerà Scottie Pippen se prendiamo parzialmente a prestito uno dei suoi più celebri brocardi. L’ultima stagione dei Warriors è stata quasi totalmente sacrificata sull’altare di un record bello ma inutile (che comunque resterà lì scolpito, a imperitura memoria), soprattutto alla luce dell’altrettanto storico 3-1 di vantaggio sprecato contro i Cavs nella serie finale. Sarà interessante vedere se e come coach Kerr avrà incanalato la legittima rabbia in energia positiva da sfruttare nell’arco di una stagione.
IL MERCATO ESTIVO – Di Durant hanno già detto, troppo, tutti. Dimenticandosi che, KD a parte, il roster dei Warrriors è di assoluto valore, con il front office che sembra essere riuscito nella non facile impresa di migliorare una squadra già fortissima, nonostante le partenze di Barnes, Bogut, Barbosa, Speights ed Ezeli. West e Pachuilia sono arrivati in saldo o quasi, McGee garantisce la giusta dose di atletismo in mezzo e c’è un Looney da verificare ad alti livelli dopo l’infortunio che l’ha tenuto fuori per tutta la passata stagione.
L’UOMO FRANCHIGIA – Stephen Curry si trova di fronte alla sua stagione più difficile. Nella scorsa ha battuto qualsiasi record battibile salvo poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano dopo delle Finals giocate non al meglio a causa dei problemi fisici. Nella prossima, invece, dovrà dimostrare di essere un leader nel senso più puro del termine, cercando di conciliare il suo spettacoloso modo di giocare alla necessità di lasciare qualche volta la luce dei riflettori a compagni altrettanto celebrati, non necessariamente i Durant o i Thompson di turno (ogni riferimento a Draymond Green è voluto). Il tutto senza la frenesia di voler far meglio di un 2015/2016 che, dal punto di vista dei numeri, resta comunque irripetibile e imparando a gestire meglio le inevitabili critiche che potrebbero seguire a sconfitte più o meno rumorose.
A COSA PUNTARE – Come detto all’inizio, i Golden State Warriors “non possono perdere”. Ergo l’obiettivo è inutile da specificare quale sia.
IL PRONOSTICO – Se Kerr troverà il modo di gestire ego, minuti e possessi delle sue stelle, coniugando il tutto all’interno del suo sistema di gioco, riversi a giugno non sarà un problema. Magari risparmiando qualche energia in più in regular season, tenendosi più vicini alle 60 W che non alle 70.