Melo saluta Team USA; un plurimedagliato speciale dentro e fuori dal campo
Nove gare, nove vittorie, ancora una medaglia. La quarta della sua storia, la terza del materiale più pregiato. Nessun americano ci era mai riuscito, ma lui si. Carmelo Anthony, però, a 32 anni ormai compiuti, dice basta e saluta così Team USA e il suo paese. Peccato, perché ci sarebbe piaciuto vederlo a Tokyo ancora una volta, a guidare i ragazzi del suo paese come aveva provato a fare ad Atene, come ha fatto perfettamente a Pechino, a Londra, poi a Rio in questa caldissima estate; tre continenti conquistati, pronti ad inchinarsi al suo talento, alla sua leadership. Ogni volta c’era sempre qualcuno pronto a prendersi più copertine di lui: Kobe, LeBron, stavolta ci ha provato Durant, ma Melo è sempre lì, pronto a mettersi addosso la maglia a stelle e strisce e a sudare per il proprio paese. Ci è riuscito, si è mescolato ai ragazzini brasiliani nelle sue ore libere da impegni con la squadra, ha regalato il terzo oro di fila, ha esultato e ringraziato tutti; si chiude così la sua carriera internazionale, perché forse da ora l’obiettivo sarà un altro.
“Sapevo che per me questa sarebbe stata la fine. E finisce qui. Avevo dato la mia parola che mi sarei impegnato anni fa; ho detto sì a questo programma nel 2004. Ho visto il meglio e il peggio di questo progetto e sono qui, non gli ho mai voltato le spalle. Nessuno di noi gli ha mai voltato le spalle. Io sono ancora qui, 3 medaglie d’oro dopo. Sono davvero contento per me, ma anche per i miei compagni che non hanno mai vissuto niente del genere”, le parole di un emozionato Melo a fine gara. La Serbia è già un ricordo, tutte le gare e gli avversari sono già un ricordo. Dalla Cina alla Serbia, regolata in finale con un netto 96-66, passando per Australia, Francia, Spagna; tutte crollate sotto i colpi americani, tutte a spartirsi il resto di una torta che Melo e compagni mangiano con avarizia. Non si sbaglia più; la lezione di Atene, quella in cui gli italiani avevano messo il naso davanti a loro sul podio, dev’essere servita e Coach K deve averla spiegata per bene negli anni a seguire.
Più di 12 punti di media, non essendo il top scorer leader della squadra, sono un ottimo bottino a 32 anni compiuti; a segnare di più ci ha pensato spesso Kevin Durant, l’altra stella attesa di questa estate olimpica per gli americani, eppure nella classifica dei più prolifici marcatori di sempre in maglia USA figura proprio il nome del newyorchese. Superato LeBron – che dopo l’assenza di Rio ha già fatto sapere che potrebbe esserci a Tokyo, tra quattro anni, dove potrebbe inseguire proprio i tre ori olimpici di Melo -, superati in un solo colpo Jordan e tutti gli altri grandi della storia del basket americano. Non c’è stata storia a Rio, ma quella di Melo è comunque bella da raccogliere e raccontare ai posteri. Da oggi nella sua testa ci sarà solo la sua New York, i suoi Knics, quelli che ripartiranno da Phil Jackson e da un roster completamente rinnovato tra due mesi per provare un insperato assalto all’anello, l’unico trofeo che al ragazzo di Syracuse ancora manca. Sarà difficile, ma nella vita sognare non costa nulla; e poi LeBron ha già mostrato al mondo intero che provare a regalare un titolo alla propria gente è la missione più onorevole che ci sia. A fine gara, dopo il trionfo con l’oro al collo, arriva il meglio: “Nonostante tutto quello che sta succedendo nel nostro paese, dobbiamo rimanere uniti. L’America sarà di nuovo grande, io ci credo. C’è tanto lavoro da fare, ma dobbiamo fare un passo alla volta”. Parola di Melo: campione, plurimedagliato olimpico e persona speciale.