I dolori del giovane Steph. La Curry Family sull'orlo di una crisi di nervi all'alba di Gara 7
Uno contro tutti. Anzi, due contro tutti. Si, perchè al fianco di Steph, in ogni caso ed ogni posto del mondo, ci sarà sempre Ayesha. È così dai tempi della scuola, da quando la pallacanestro era già importante, ma non così. Da quando i riflettori erano assenti o cominciavano, timidi, a spuntare dietro le tende di una Davidson che non sapeva ancora cosa avesse tra le mani. Il legame tra il signore e la signora Curry va avanti da quasi un decennio, dagli anni di Charlotte, quando il ragazzino che addosso portava sempre la numero 30 cominciava a farsi spazio nella testa degli appassionati di college. Ayesha, canadese di Toronto ma ormai americana a tutti gli effetti, era già più avanti di lui: le prime apparizioni al grande pubblico, le prime critiche positive, Hollywood come sogno nel cassetto ed una fama da attrice e modella che l’anticipava. I due, però, non si lasceranno più: è mentre Steph cominciava la sua scalata al successo lei ha saputo esserne protagonista uscendo dall’ombra solo quando ce ne fosse il bisogno.
Steph, infatti, da solo non lo è mai. Neanche quando tutto e tutti sembrano andargli contro. In queste NBA Finals il talento del nativo di Akron non sembra aver fatto quasi mai veramente capolino, per una serie di fattori fisici, tecnici e mentali che abbiamo già analizzato da altre parti. Fatto sta che dal 3-1 i campioni in carica si ritrovano rimontati sul 3-3 con una Gara 7 alla Oracle che ora pesa come una spada di Damocle. Al palazzo ci sarà anche Ayesha, molto probabilmente con prole al seguito, come quasi sempre capita. Lei e l’intera famiglia Curry (papà Dell, mamma Sonia, fratello Seth) sono il perno principale di Steph, voglioso di poter ancora una volta festeggiare con loro. Famiglia in trasferta anche lontano dalla Baia: c’erano tutti lo scorso giovedì alla Quicken Loans Arena di Cleveland, in prima fila mentre Steph, a pochi minuti dalla fine di Gara 6, veniva cacciato fuori dall’arbitro dopo una reazione spropositata ad un fischio contro di lui. Il paradenti che gli parte dalle mani e colpisce un tifoso di casa in prima fila è quanto LeBron e tutta l’Arena si aspettavano, il segno inequivocabile di una concentrazione ormai andata via; la rabbia e l’esasperazione per una serie che ti scivola via dalle mani la fanno da padrone, anche se tu, uomo simbolo della squadra e tra i migliori in circolazione sul pianeta, non stai giocando una cattiva partita, autore di 30 punti.
Ma il peggio deve ancora venire. Passa pochissimo tempo dalla sirena finale e dall’account Twitter di Ayesha parte un tweet che non dovrebbe partire. “Scusatemi, ma ho perso tutto il rispetto che avevo. È tutto combinato per soldi…o forse per gli ascolti, non sono sicura. Ho assistito a tutto ciò dal vivo, non voglio stare zitta”. Un post duro da mandar giù, una brutta pubblicità anche per la stessa NBA che fa di Steph uno degli uomini simbolo dell’intera Lega. Il tweet è stato ovviamente cancellato di lì a poco, ma la frittata è stata fatta; la stessa signora Curry ha provato poi a spiegare l’accaduto, scusandosi con quanti si fossero sentiti offesi e per la intempestività del suo pensiero. Il segnale, però, è forte: i Warriors sono tutti lì, nella testa e nelle idee della famiglia Curry. Ciò che sembrava ad un passo ora sembra irraggiungibile, perchè anche con una Gara 7 da giocare davanti al pubblico cocente della Baia, l’inerzia sembra tutta pendere dalla parte di LeBron e dei Cavs, che domani notte non avranno nulla da perdere. Per ritrovare l’armonia dei giorni migliori cosa servirebbe ai Curry? Forse staccare la spina, uscire dalla luce dei riflettori che per un intero biennio hanno illuminato tutti, persino la piccola Riley. Un titolo NBA può valere una carriera. Ma per vincerlo bisognerà tornare ad essere una sola e grande famiglia.