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Il disastro di Tyronn Lue

E’ un gioco di squadra: si vince in 16 e si perde in 16. Il numero non è sbagliato, fidatevi. Oltre ai 13 giocatori che vanno regolarmente in panchina e in campo ci sono altri 3 membri della squadra che si citano poco sia nelle vittorie sia nelle sconfitte: gli allenatori. Stanotte i Cleveland Cavaliers hanno sciupato il punto del pareggio, affidando inerzia e probabilmente vittoria della serie nelle mani dei campioni in carica, forti di una prestazione eccellente da parte di Stephen Curry. Sarebbero tante le analisi da fare ma noi ci vogliamo focalizzare su un aspetto paradossalmente chiacchierato ma nei modi non congrui. Si parla spesso delle differenze tra le panchine, soprattutto in termini di efficienza. Lo si fa parlando di Iguodala e del suo tremendo plus/minus positivo, di Livingston e del suo quintetto della morte, di Barbosa (per le prime due gare a Oakland) e delle sue percentuali, dell’inefficacia di Dellavedova e di Shumpert, dell’approccio sempre più deficitario di una chiave come Channing Frye. Non è di questo che vogliamo parlare. Vogliamo puntare i nostri riflettori sulle panchine e in particolar modo sulle scelte di coach Tyronn Lue, subentrato a stagione in corso dopo l’esonero di David Blatt.

In quei 16 che perdono e vincono le partite, come detto, vanno iscritti anche i membri del coaching staff, nel nostro caso Tyronn Lue, Larry Drew e Bret Brielmaier (senza menzionare i trainer specialisti). Gara 4 tra Warriors e Cavaliers è stato il primo atto equilibrato, dove le squadre hanno giocato intensamente dando vita ad una partita dai mille cambi di inerzia. Nelle partite punto-a-punto i dettagli fanno la differenza: una palla persa in più, una in meno, un timeout in più o uno in meno, la gestione delle rotazioni durante l’arco della gara, la gestione generale dei giocatori, la scelta dei quintetti con i quali decidi di giocarti il finale. Ecco, sotto questi (ed altri) punti di vista, possiamo affermare che coach Tyronn Lue ha combinato un disastro in gara 4. Naturalmente dobbiamo premettere un assunto chiave: non siamo degli allenatori, non abbiamo la minima intenzione di spiegare la pallacanestro a coach Lue, non siamo qui a condannarlo come l’unico artefice di una sconfitta ma vogliamo solo informare, ragionare e discutere su degli errori che a noi sono sembrati palesi e decisivi. In campo vanno 5 giocatori e attribuire la colpa solo al coach è sempre un azzardo, oltre che un errore. Le scelte difensive sono quelle che da inizio serie fanno più discutere.

Lo switch (il cambio difensivo) su ogni blocco viene fatto per evitare che su un pick&roll che coinvolga Curry e Thompson, i tiratori non abbiano troppa libertà. Coach Kerr come contromisura non adotta il tiro pestifero dei suoi cecchini ma provoca il campo e spesso manda in 1vs1 gli Splash Brothers contro i lunghi dei Cavs. I risultati sui vostri teleschermi. Solo Thompson (segnatevi il nome perchè ci ritorneremo) è riuscito più volte a contenere Curry con successo. I primi problemi della partita giocata venerdì notte sono rintracciabili in una scelta di uomini da inserire in rotazione molto ma molto ridotta: sono sostanzialmente 7 i giocatori con più di 15 minuti giocati a cui vanno aggiunti Dellavedova con appena 4:43 minuti e Frye con 9:45. Abbiamo nominato Delly e Channing e allora stiamoci dentro. Il primo, vero e proprio eroe delle Finals dello scorso anno nonostante la sconfitta di Cleveland, non è mai entrato in questi playoff né mentalmente né dal punti di vista statistico, dando sempre uno scarso contributo numerico. L’australiano, però, abbiamo imparato a conoscerlo al di là delle sue cifre: l’intensità che mette, il suo lavoro di watchdog su Curry specialmente, una voglia di lottare su ogni pallone. Coach Lue, invece, non ha MAI messo in queste 4 gare Dellavedova su Curry, in nessuna occasione. Se la storia deve aiutarci a ricordare sempre qualcosa, Tyronn Lue di sicuro non ha visto le Finals 2015. Il secondo punto riguarda Channing Frye, autore di 3 serie contro Pistons, Hawks e Raptors giocate ad altissimo livello. Sia chiaro: non è mai stato la grande speranza difensiva dei Cavs ma sicuramente un uomo tatticamente utilissimo che allarga il campo e costringe la difesa a scelte piuttosto estreme visto e considerato che l’ex Magic viaggiava con più del 50% da 3.

Lue ha delle armi ma si adatta a quello che offre Kerr, non spingendosi mai oltre, non esplorando mai matchup eventualmente favorevoli ma sempre prendendo scelte in relazione alle mosse del collega sulla panchina opposta. Gioca praticamente 6 minuti in gara 4 (con un impatto limitato) e Lue decide di gettarlo nella mischia, dopo 38 minuti di “gelo”, quando mancano 4 minuti dalla fine e sotto di 9 lunghezze, nella speranza di recuperare. Ci riallacciamo a quella scelta di cambi difensivi descritta in precedenza: bisogna recuperare, bisogna difendere e non mi affido a chi non mi garantisce il 101% in difesa. Frye, in qualche occasione, non comunica sul blocco e lascia SOLO Curry che ringrazia e punisce. Nulla contro Frye che, purtroppo, non ha mai difeso come Dio comanda e sicuramente non imparerà a 34 anni ma qualcosa da recriminare contro Lue c’è. L’icona che abbiamo lasciata aperta riguarda Tristan Thompson. Nell’ultimo quarto pesano come un macigno i suoi 4 liberi sbagliati e Lue, per evitare di concedere altro ai Warriors, decide di tenerlo fuori per il resto della partita, dopo una prestazione di grande intensità e di grande quantità. Meglio qualcuno che difende fino alla morte come TT e che in attacco contribuisce il giusto oppure un mediocre difensore che, a conti fatti, comunque ha un impatto offensivo molto relativo? Lue opta per la seconda e, come prima, i risultati sono sui vostri schermi.

TTAltro problema a cui facevamo riferimento in precedenza: le rotazioni. In una partita in cui ti giochi il tutto per tutto cerco di gestire le forze dei miei migliori giocatori per averli freschi nel finale, caratteristica straordinaria della gestione di coach Kerr. Anche se il box score ci evidenzia una differenza non così sostanziale di minuti giocati tra le star, 2/3 minuti di riposo in più cambiano completamente gli scenari. LeBron James gioca 45:34 su 48, Kyrie Irving gioca 43:22 su 48 mentre Steph Curry ne gioca 39:39 e Klay Thompson 39:23. Cosa saranno mai 6 minuti in più o 4 in più? Sono tutto a questo livello. Le rotazioni corte rispetto alle Finals dello scorso anno sono una scelta tecnica e non una scelta obbligata dagli infortuni. Partiamo dall’esempio opposto, quello dei Warriors: durante il secondo quarto entra tale James Michael McAdoo a cui Kerr regala qualche scampolo di gara dopo i minuti nel garbage time. Giocherà 7 minuti, totalizzerà due punti e non creerà alcun problema, nessun danno particolare. McAdoo probabilmente non è adatto a giocare a questi livelli e probabilmente sentiremo poco parlare di lui ma la vera funzione della giovane ala è quella di dare riposo ai titolari, anche correndo il rischio di perdere qualcosa in termini di qualità. Il rischio, però, vale la candela per Kerr perchè Draymond Green riposa e rientra lucido nei minuti che contano, Thompson farà lo stesso e Curry farà lo stesso. Se prendiamo l’esempio di Irving, invece, è totalmente l’opposto: gioca 43 e più minuti, Dellavedova solo 4 e spiccioli e questo comporta un finale di partita giocato in maniera assolutamente non lucida dal fenomeno da Duke. Sarebbe irreale chiedere 48 minuti di qualità ad Uncle Drew, figuriamoci 43. In tutto questo, adatto o non adatto che sia, pronto o non pronto che sia, c’è un altro playmaker come Mo Williams che non ha mai messo piede in campo in gara 4. Anche qui tante domande: perchè non concedergli 3 minuti se Delly non convince? A 6 minuti dalla fine termina inesorabilmente il carburante ai Cavs e la colpa, in questo caso, è di una sola persona.

Altro giro, altro problema: la scelta dei quintetti. Abbiamo già affrontato il discorso sul quintetto utilizzato per gli ultimi disperati 5 minuti (con Frye e Love in campo e con Thompson e Jefferson in panca) ma il vero disastro si consuma a cavallo tra il terzo e il quarto periodo, quando Golden State scava il solco dal quale Cleveland non uscirà. Il parziale decisivo avviene con una coppia di lunghi piuttosto insolita per i padroni di casa: Kevin Love nello spot di 5 e LeBron James nello spot di 4. Kerr, marpione se ce n’è uno, non si fida di Bogut, non si fida di Ezili e inserisce per soli 4 minuti Anderson Varejao, come sempre fischiato dalla Quicken Loans Arena. Da sempre The Wild Man dal Brasile è noto per la sua intensità e il risultato è eccellente: in così poco tempo cattura 3 rimbalzi offensivi, concedendo quindi 3 extrapossessi ai Warriors che capitalizzeranno in ognuna di queste occasioni. La coppia Love-James in quei 4 minuti in cui Andy è sul parquet cattura la bellezza di 0 rimbalzi. Il tutto con in panchina Thompson (che quando è in serata di spolvero andrebbe tolto dal campo solo per sporadici riposi)e Mozgov, con il russo che passa da essere un fattore nelle scorse Finals ad essere molto più che ai margini delle rotazioni di coach Lue. La partita sostanzialmente gira lì, con dei canestri che scaturiscono da seconde chance da rimbalzi offensivi e se esistono punti che tagliano le gambe alla difesa sono proprio questi. Thompson e Barnes sono stati i protagonisti di un eccezionale primo quarto e la loro gestione fotografa perfettamente il divario che c’è tra le panchine: il primo inizia benissimo, è un fattore a rimbalzo offensivo, difende alla grande e passa l’ultimo quarto a guardare la partita dalla panca; il secondo, invece, piazza le triple che spaccano in due la gara.

Ultimo punto, forse meno evidente rispetto agli altri, è la gestione dei timeout. Coach Lue arriva agli ultimi 3:50 di gara con zero timeout a disposizione (sia da 20 secondi sia full) e anche questo influisce sulla possibilità di far rifiatare i giocatori nel momento di massima pressione, nel momento in cui devi dare tutto per cercare di recuperare una situazione disperata come può essere un -9 a pochi minuti dalla sirena finale. Ci siamo permessi di definirlo un “disastro” per un semplice motivo: tanti piccoli errori, tanti dettagli trascurati fanno perdere partita, serie e titolo. Non è solo colpa di Lue perchè le 7 palle perse di LeBron non ricadono solo sulla sua testa, gli errori di TT dalla lunetta non cadono solo sulla sua testa e la prestazione monstre di Curry non dipende solo da lui. Alcuni errori, però, evidenziano una inesperienza di un classico rookie HC. E intanto David Blatt…

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone