L'EDITORIALE - Finalmente possiamo dirlo: benvenuto sull'Olimpo, Anthony
Abbiamo visto uomini da copertina di gran lunga migliori di lui, testimonial della Lega e proprietari di linee di abbigliamento. Ma per quanto l’estetica nel suo caso non sia da sottovalutare, sebbene GQ abbia avuto il coraggio di dedicargli un servizio fotografico, sul parquet è tutt’altra cosa. Al punto che magari ci si dimentica del ciclopico sopracciglio. E considerando i soli 21 anni (già compiuti), facilmente si rimane interdetti immaginando i margini di miglioramento (sul campo, s’intende).
Insomma, un giocatore precoce, Anthony Davis. Nonostante l’età, ha già vinto un oro olimpico, un mondiale ed è attualmente senza rivali nella corsa al premio di MVP di fine anno. E adesso è il dominatore assoluto della Lega. Il tutto trova ovviamente conferma nei numeri, spaventosi, che il prodotto di Kentucky sta inanellando partita dopo partita. Dopo il career high sabato notte contro Utah, dove il nostro ne ha messi 43, la voce “media punti” recita 27.2 per partita, frutto di un 63,9% dal campo. E’ implacabile anche a rimbalzo, con i 10.2 che prende ogni gara, contornati dalle 3 stoppate e i 2 assist che lo rendono un’arma quasi totale.
Il quasi è d’obbligo, perché se quest’anno ha assunto una certa dimestichezza col tiro dalla media distanza, dall’arco ancora non se ne parla proprio. Ovviamente, stiamo pur sempre parlando di un 21enne alla terza stagione in NBA, che promette di fare le fortune di New Orleans che ce l’ha assicurato fino al 2016. A maggior ragione che l’impellente free agency di Omer Asik comporterà uno spazio salariale di ben 15 milioni di dollari sul libro paga dei Pelicans, che dunque possono cominciare a pensare anche più in grande, per lui e per la franchigia.
Tutto passa, dunque, per le mani di Davis. La cui continuità comincia a far vacillare i mostri sacri della Lega. Ipotizzando uno scenario (più che discreto) dove i LeBron, i Kobe, i Melo abdicano in favore di un nuovo uomo-simbolo, Davis si propone con prepotenza dovuta come primo erede al trono, almeno per ciò che sta facendo vedere. Di certo, l’NBA perderebbe un’immagine che si presta come tipico incarnato della kalokagathia, l’ideale dell’epica omerica della bellezza e della valorosità sul campo di battaglia, a favore di un anti-estetico ma dominante Anthony Davis. Forse si ritornerà a un MVP di muscoli e carisma, come un Garnett di svariati anni fa. Così come forse impelagarsi in un volo pindarico di queste dimensioni nemmeno giova all’encomio. Ma, forse, è anche il momento di scrollarsi di dosso l’idea di bello e valoroso, in favore della sola virtù mostrata in campo; di quella, Davis, ne ha da vendere senza pubblicizzarla.
Non è un Achille, ma è pur sempre un Aiace. E, ad essere sinceri, va benissimo così.