Ryan Anderson: sopravvivere al dolore più grande
Ryan ha 25 anni, ha un contratto con una squadra che gioca nel campionato cestistico più importante del mondo, ottime disponibilità economiche.
Come se non bastasse si trova nel paradiso tropicale delle Bahamas, e nonostante sia Febbraio la temperatura è mite: sembra quasi una di quelle giornate di inizio estate nella natia Sacramento, anche se la capitale della California non può vantare un mare così cristallino e simili bellezze naturali e umane.
Ryan si trova nell’hotel col cognato e grande amico Mark Groves, quando si vede passare davanti una brunetta in un vestito verde che lo colpisce immediatamente.
Il nostro non ha esitazioni, subito si volge al compare e gli dice “Se non parlo a questa donna me ne pentirò per tutta la vita.”
La brunetta si chiama Gia Allemand, modella di 29 anni che vanta anche di aver partecipato ad alcuni show televisivi, come the Bachelor, grazie ai quali si è guadagnata l’affetto dei telespettatori.
Una notte passata sotto il chiarore delle stelle, a parlare di amici, famiglia, fede, è sufficiente a far scoccare la scintilla e Ryan e Gia iniziano a frequentarsi.
La loro diventa presto una storia d’amore quasi adolescenziale: i due viaggiano in diverse località del mondo, come Cina e Messico, e vanno anche a Disneyland – immaginateveli, i 2 metri e rotti di Ryan Anderson in mezzo ai bambini di Disneyland – e per Pasqua, come da tradizione, si preparano dei cestini con delle uova di cioccolato e dei piccoli regali (un album di fotografie da parte di Gia e caramelle e libri da colorare da parte di Ryan).
Fanno proprio una bella coppia, lo statuario cestista e la bella attrice della tele, tanto che US Weekly dedica loro un servizio, perché le coppie delle celebrità fanno sempre notizia.
Ma a prescindere dal glamour, la madre di Gia afferma di non averla mai vista così felice come ora, e Ryan con lei si sente a casa: si inizia a organizzarsi per convivere, si inizia a parlare di anelli – e non di quelli che abbondano sulle dita di Jordan, Kobe e simili.
Per Ryan tutto sembra andare alla perfezione.
E dire che nessuno gli avrebbe pronosticato ne’ una carriera professionistica in NBA ne’ una relazione con una celebrità: lui che era nato da un ingegnere della Intel, Jack, che a malapena sfiorava il metro e ottanta, e di una decoratrice d’interni, Sue, che a malapena superava il metro e settanta, e nessuno dei due poteva dirsi esattamente atletico.
Eppure Ryan ha un fisico imponente, e se a ciò aggiungiamo una grande passione per la palla a spicchi – inevitabile, crescendo a Sacramento nel periodo in cui i Kings erano the Greatest Show on the Court – e condiamo il tutto con una buona dose di talento naturale, ecco che si spiega come Ryan sia riuscito ad ottenere una chiamata al primo giro dai Nets.
Poco dopo aver incontrato Gia (per l’esattezza era il febbraio del 2012, la stagione del lock – out) anche la vita professionale di Ryan inizia a decollare, totalizzando 16 punti e 7 rimbalzi di media a partita,classificandosi secondo nell’NBA per numero di triple realizzate e ottenendo un contratto da 34 milioni in 4 anni con New Orleans.
Trascorre quasi un anno. Ryan e Gia scoprono progressivamente le mille sfaccettature della vita di coppia: tra queste i litigi, che a volte sono futili e a volte meno.
Col tempo iniziano a diventare più frequenti, finché una sera una discussione nata al ristorante si trascina per tutto il viaggio di ritorno in automobile, con le voci che si alzano di tono e con parole pronunciate sull’onda dell’impulsività, come spesso accade in questi casi. Ryan lascia Gia a casa, con lei passata dalla rabbia ad un cupo silenzio, e si dirige alla sua abitazione collocata poco distante.
Di dormire non se ne parla, e allora telefona ad un amico d’infanzia che gli offre di ospitarlo a casa per confortarlo e stargli vicino.
Ma appena chiusa la comunicazione il suo telefono squilla, è la madre di Gia. E’ già successo che chiamasse dopo un litigio con la figlia, dopotutto avevano già litigato altre volte – e la mamma è sempre la mamma – e quindi Ryan non risponde. Ma le chiamate si susseguono, finché arriva un messaggio del marito della donna, Tony Micheletti che recita ” C’è qualcosa che non va con Gia. Dovresti andare a controllare.”
A quel punto Ryan si preoccupa seriamente. Una volta era tornato a casa per trovarla svenuta, con un calice vuoto e una scatola di sonniferi come unici compagni, e sulla via del ritorno dal ristorante lei aveva voluto fermarsi al supermercato per prenderne delle scatole. Dopo aver indossato i primi abiti che aveva sottomano, Ryan monta in macchina in preda alla preoccupazione, al punto tale che quando arriva all’appartamento di Gia lascia il motore acceso e la portiera aperta.
Gia aveva sofferto di depressione dopo alcune relazioni sfortunate, tra cui quella con il giocatore di hockey Chris Campoli, e da allora lottava con l’aiuto della madre, Donna, contro disordini alimentari e bruschi cambiamenti d’umore. Prima di conoscere Ryan disse alla madre di non credere che gli uomini potessero davvero amare, e nutriva il timore di essere abbandonata – ciò potrebbe ricondursi anche alla problematica relazione col padre, col quale aveva avuto un aspro confronto pochi mesi prima. Secondo la madre Gia soffriva di Disturbo Disforico Premestruale, sindrome che causa grande irritabilità, ansia e depressione dell’umore.
Quando Ryan apre la porta dell’appartamento, la prima cosa che vede sono le ginocchia.
Il resto sono frammenti di immagini: il cavo dell’aspirapolvere che pende dalla ringhiera del secondo piano, stretto intorno al collo di Gia; Ryan che cerca di rianimarla; il vicino che chiama il 911; Ryan che chiama la madre di Gia, che piange, gli urla contro, lui avrebbe dovuto proteggerla; l’arrivo della polizia; Ryan che risponde alle domande; Ryan che singhiozza.
Quando arriva Monty Williams, coach di quelli che erano appena diventati i New Orleans Pelicans, trova Ryan riverso sul tappeto, incapace di alzarsi: lo abbraccia e i due uomini rimangono lì, sul tappeto, dondolandosi avanti e indietro nell’abbraccio.
Il destino è strano a volte, perché lo stesso Monty Williams, cresciuto povero, aveva meditato il suicidio ai tempi del college. Il coach e una guardia di sicurezza sollevano di peso Ryan, che non è in grado di camminare, e lo portano a casa di Monty, dove trascorrono la notte nel soggiorno pregando e scambiando poche parole.
La mattina successiva Ryan arriva in ospedale in sedia a rotelle, ancora non ha la forza di mettersi in piedi. La madre di Gia è già lì: appena aveva visto la figlia aveva capito che non c’era nulla da fare, il suo cervello era rimasto senza ossigeno troppo a lungo. Quando Donna vede comparire Ryan, tutta la rabbia che provava verso di lui svanisce, perché si sente spezzare il cuore dall’aspetto devastato dell’uomo, e lo abbraccia.
Gia muore il giorno seguente, il 14 agosto 2013.
Le settimane seguenti, salvo rare occasioni come il funerale di Gia, Ryan le trascorre barricato in casa dei genitori, al riparo dalle grinfie dei media e circondato dagli affetti più cari.
Ma i primi di settembre arriva la chiamata di coach Williams, che vuole che ritorni su un campo da basket: Ryan si arrabbia, crede sia troppo presto, ma trova forza e conforto nella lettura della Bibbia e nelle parole dei genitori nonché dello stesso Monty Williams.
Ryan si prepara a incontrare di nuovo i compagni, aspettandosi domande scomode, ma quando si imbatte in Al Farouq Aminu, il primo che incontra da mesi, quello lo saluta come se niente fosse: “What’s up man?”
I compagni lo trattano normalmente, proprio quello che serve a Ryan, e il giorno dopo parla con loro in sala video ringraziandoli per questo atteggiamento e raccontando loro di Gia e di cosa significava per lui.
Lo spogliatoio è un luogo magico, che ci crediate o meno.
Ryan decide di saltare la prima partita di preseason, a Houston, ma due giorni dopo decide di affrontare gli sguardi dei tifosi e giocare a Dallas. Appena la partita comincia, l’ansia svanisce di colpo: Ryan gioca, segna triple e va a rimbalzo.
Inizia a passare gran parte del suo tempo in palestra e sul parquet, perché gli suscitano una certa quiete interiore. Gioca bene come non mai, con 20 punti di media a partita e con le percentuali più alte della sua carriera: si parla di Sixth Man of The Year e addirittura di una comparsata all’ All Star Game.
Ma a gennaio, durante una partita contro i Celtics, ha un duro contatto di gioco con Gerald Wallace ed è costretto ad uscire in barella, pur riuscendo a mostrare un pollice alzato alla folla.
Il giorno seguente arriva la diagnosi: due ernie del disco nel collo, operazione chirurgica necessaria, stagione finita.
Rimasto senza l’unico modo di esorcizzare i suoi pensieri e i suoi ricordi, Ryan non può che assecondarli, e passa lungo tempo a riflettere sulla sua relazione con Gia, analizzando e collegando molti particolari che prima non aveva colto.
Decide, assieme a Donna, di dare vita ad una associazione, la Gia Allemand Foundation, che si occupi di fornire aiuto a persone che si trovino in situazioni simili a quella di Gia.
Una domenica di settembre decide di raccontare tutto ad un reporter di Sports Illustrated (potete trovare qui l’articolo originale) in una conversazione durata quattro ore più altre tre ore del giorno seguente.
“Mi è stato dato uno spazio sotto i riflettori grazie all’ NBA, ma so che una volta che avrò terminato la mia carriera la gente non avrà molto interesse in me. Per questo ora che posso è importante per me che riesca a parlarne, perché è necessario che le persone associno una faccia alla prevenzione contro i suicidi e per me va bene che sia la mia” dice Ryan.
“ Non sono felice di parlare della mia esperienza più dolorosa della mia vita, ma si tratta di diventare quella faccia oppure di rannicchiarmi in un angolo e di lasciarmi soverchiare.”
Oggi Ryan ha ripreso a giocare dopo aver recuperato dall’infortunio, e sta totalizzando 15 punti e 5 rimbalzi di media.
Se vi capita di guardare una partita dei Pelicans, dopo aver reso i dovuti omaggi alle schiacciate di Anthony Davis, rivolgete uno sguardo ed un pensiero anche a quell’uomo con la barba che nella sua soffitta conserva ancora il vestito verde di quella notte di Febbraio, alle Bahamas.