ICYMI - Don't worry, be Zinger!
Avete presente la leggerezza che Bobby McFerrin trasmette con un pezzo indimenticabile, datato 1988, dal titolo Don’t worry, be happy? Tenete aperta la casella, perchè ci ritorneremo. Se ne sono sentite tante in questi giorni per via dei numeri roboanti di un giovane lettone che sta stregando la NBA (e fino a qui ci siamo) e la Grande Mela (e qui c’è la notizia!). Non vi aspettate di leggere quei numeri, perchè qui intendiamo fare diversamente. Gli aspetti numerici del Gioco, in particolare con i giovani rookie, non sono così centrali, specie se provengono da poco più di 10 gare. L’analisi che intendiamo fare è meramente psicologica, perchè è questo il campo di battaglia principale sul quale ha dovuto combattere la scelta #4 dei New York Knicks.
Nasce nel 1995 a Liepāja, in Lettonia e dubitiamo che in quegli anni spopoli un pezzo distante anni luce da quella cultura come quello del caro e vecchio Bobby. Eppure ci deve essere qualcuno che lo suggerisce a Kristaps Porzingis, che a sua volta lo utilizza come colonna sonora del suo stile di vita e del suo stile in campo. Viene accolto il 25 giugno tra sorpresa generale in quel di Brooklyn, al Barclays Center dei Nets. La fotografia di quella sera è di un bambino che veste la maglia dei Knicks ed è estremamente indeciso: piangere o esultare? E’ stato il dilemma della maggior parte dei tifosi dei Knickerbockers prima di scoprire che il diamante pescato dal solito Phil Jackson è meno grezzo di quello che ci si aspettasse. Dai fischi alle ovazioni, dal più classico dei “Come diavolo si pronuncia questo nome?!” all’ancora più classico “Può essere l’uomo franchigia dei prossimi anni!”. Cose da NY in quel di NY. Sì, perchè certe cose possono accadere solo dove la cultura cestistica manca completamente, specie se hai scritto Knicks sulla canotta. Come si fa questo salto così difficile nel luogo della Terra più complesso del mondo? La verità e la soluzione ce la dà proprio McFerrin. Qualche anno la neurologa Maria Popova ha definito l’intramontabile successo degli anni ’80 come la canzone salva vita. Il motivo è semplice. Secondo la neurologa “Trasmette elementi di saggezza che sono preziosi per l’equilibrio dell’individuo”. Nel testo, poi, si individua il consiglio a non lasciarsi sopraffare dallo stress quotidiano, quello a cui andava in contro ora dopo ora un ragazzo giovanissimo proveniente da una realtà piccola come quella lettone e come quella spagnola. La canzone in una delle note finali recita: “Ascolta quel che dico. Nella tua vita, aspettati dei problemi ma se ti preoccupi i problemi si raddoppiano. Don’t worry, be happy. Non preoccuparti, sii felice“.
Il mantra di KP, da quella famosa sera dei “Booo” del Barclays Center, è stato proprio questo: zero pressione, considerazione limitata vista la poca fama negli States e massima distensione dovuta ai primi due fattori. Questa è stata la medicina principale che ha permesso a Kristaps di incantare New York e i suoi tifosi, gli stessi che lo fischiarono in estate e che ora lo osannano mentre stoppa Harden.
Dal punto di vista del gioco, poi, la costruzione di una squadra che non ruota attorno al più atteso di tutti lo ha aiutato ad integrarsi in un sistema non semplice. Coach Fisher lo ha introdotto nella filosofia di basket NBA col cucchiaino, dandogli il giusto tempo (quello che non hanno avuto i vari Russell, Okafor, Towns) per assimilare concetti e tempi di gioco, leggi non scritte e situazioni. Ma la chiave è tutta lì, nel rimanere calmo, nel rimanere spensierato e mai al centro dell’attenzione, nell’allontanare i pensieri negativi degli altri. La fama arriverà, di questo ne siamo certi, ma la semplicità e la leggerezza con la quale gioca questo ragazzone di 221 centimetri è impressionante. Per impatto nella Lega, metterlo davanti ai nomi citati in precedenza non sarebbe un’eresia. E’ e sarà un rookie estremamente diverso dagli altri, non solo per capacità, non solo per tecnica e comprensione del gioco e non solo per via dello smisurato talento che possiede. Crescere in un contesto NON perdente come è stato per Wiggins, com’è per Jahlil Okafor, come lo è stato per Dante Exum, come lo è stato per Bennett, come lo è stato e lo è per Noel, come in parte è stato per Irving (la lista potrebbe proseguire per molto, NdR) è di fondamentale importanza. Se poi aiuti i Knicks a risollevarsi dalle ceneri del passato, allora la soddisfazione e la considerazione sarà doppia in futuro.
Nella sua ultima stagione spagnola, coach Scott Roth, allenatore americano che si è lasciato conquistare dal calore e dalla bellezza dell’Andalusia, ha attribuito un curioso soprannome a Porzingis: ZINGER. Ma cosa significa Zinger? Le traduzioni che più ricorrenti sono: cannonata, stangata, schianto, motto arguto ma anche domanda a sorpresa ed evento imprevisto. Gli ultimi due sono probabilmente i più azzeccati: è stata una sorta di domanda a sorpresa per i Knicks che, poi, si sono trovati davanti un evento imprevisto, ovvero sia avere a che fare con l’uomo più “leggero” della Lega.
DON’T WORRY, BE ZINGER!