Teach Me How To Jimmer
Se mi chiedessero qual è stata la migliore base rap di sempre, la risposta potrebbe essere solo una. Perché certi capolavori non si superano.
Se mi chiedessero qual è stato il più grande rimpianto NCAA degli ultimi 10 anni, la risposta sarebbe sempre e solo una. Perché Jimmy non si supera.
Jimmer Fredette è il più affascinante libro mancato dell’ultimo decennio di college basket.
Jimmer è un ragazzo come mille. Nato in una qualsiasi famiglia bianca nello stato di New York, la madre ha la brillante idea di regalargli un nome che potesse non avere nessun altro. A 5 anni comincia a segnare le prime triple. A 7 gioca contro gli adolescenti. A 10 suo fratello è sicuro che un giorno andrà in Nba.
Al liceo gioca bene ma lo notano in pochi. Riceve 12 proposte per il college. Sceglierà Brigham Young University (BYU). Mitt Romney, Danny Ainge ma poi nient’altro. Il sesto uomo di quella squadra era Jonathan Tavernari che oltre ad avere un nome meraviglioso, qualcuno di voi avrà visto passeggiare tra le strade di Biella e di Agropoli.
Dunque, Jimmer scopre BYU e BYU scopre Jimmer.
Mettiamo subito le cose in chiaro, nel college di Birgham Dio esiste ma siede alla destra della ragazzo con maglia numero 32.
Se l’anno da Freshman rientra nella normalità (7.0 punti di media), sarà da Sophomore (16.2), Junior (22.1) e Senior (28.9) che riscrive le logiche del torneo.
All’inizio del suo terzo anno, Jimmer comincia a declinare il verbo.
Il 28 Dicembre 2009, contro Arizona comincia la trascrizione dei record da infrangere: ne mette 49.
Poi a seguire:
45 vs TCU.
37 vs Florida.
47 vs Utah.
33 vs UNVL.
Il 26 Gennaio 2011, davanti a una folla di 20.700 persone, di fronte all’imbattuta San Diego State di tale Kawhi Leonard, ne mette 43. Teach-me-how-to-Jimmer.
(Esempio di onnipotenza cestistica…)
La conclusione del suo ultimo anno di college è semplice poesia.
Nella semifinale di conference contro New Mexico ne segna 52 (record all-time per Brigham).
In finale BYU perde con San Diego State ma si qualifica per la fase finale del torneo.
Al primo round batte la #14 del tabellone: Wofford (32 punti per Fredette).
Al secondo round batte la #11 del tabellone: Gonzaga (34 per Fredette).
BYU si qualifica per la prima volta nella sua storia alle Sweet Sixteen.
Troverà i Gators e verrà battuta, ma questo non è più importante.
Jimmer conclude la sua carriera NCAA avendo infranto una dozzina di record, vinto vagonate di premi individuali, ma soprattutto avendo ispirato i suoi compagni a creare questo capolavoro qui:
(“Jimmer Fredette, nothing but net”)
Fredette entra dunque a piedi uniti sulla cultura pop del momento. Il suo nome, che mamma Kay aveva scelto con cura anni prima, diventa un modo di essere, un’icona, un verbo. Citando Urban Dictionary:
“To Jimmer:
- Nella pallacanestro, quando qualcuno mette un tiro da tre da 10-12 metri.
- Riuscire in qualcosa in modo eccezionale. Il verbo prende il nome dalla point guard di BYU Jimmer Fredette. (Esempio: You Jimmered that test today!)”
Il verbo di un ragazzo bianco che predica la sublimazione della pallacanestro.
Nel 2011 il Draft. La chiamata alla 10. Prima Milwaukee e poi Sacramento. Quindi la panchina. L’infinita panchina che solo Sacramento sa regalare.
Pochissima fiducia a Chicago e sprazzi di campo a New Orleans.
Ora non esagero se vi dico che, per noi incurabili romantici, la notizia più bella dell’estate è stata proprio l’approdo dell’ex ragazzo prodigio alla corte di Pop. Perché esistono amori che non si superano. Possono soffrire, girovagare, dubitare e trovarsi sull’orlo della fine. Ma in realtà resteranno lì per sempre.
Come la speranza di veder valorizzata una delle più belle storie NCAA degli ultimi 10 anni.
Come il nostro amore per Jimmer.
Come la base di Still D.R.E.