D.J. Augustin racconta Kathrina, a 10 anni dal disastro
Sono ormai passati 10 anni, ma a New Orleans e dintorni nessuno può dimenticare. L’ultima settimana di Agosto del 2005 vide consumarsi la tragedia di Kathrina, il violentissimo uragano che seminò morte e devastazione (1.833 vittime totali) nel sud degli Stati Uniti, colpendo in particolare la città di New Orleans, che si ritrovò con l’80% della sua area metropolitana inondata per settimane. A “The Players Tribune“, D.J. Augustin, attuale play dei Thunder, all’epoca 17enne, ha raccontato la sua esperienza in quei giorni terribili.
“Se vieni da New Orleans, sei abituato alle evacuazioni. E’ normale. La stagione degli uragani dura davvero una stagione. Durante questa stagione, non fai altro che guardare il meteo e se c’è un decreto di evacuazione, tu devi andare, non ci sono molte scelte. Quando gli uragani iniziano ad arrivare, lo fanno in continuazione, non stop. Ogni settimana ne arriva un altro, con un nome diverso. C’è davvero tanta pioggia, ma poi passa tutto. Da bambino, ricordo di parecchie storie riguardanti l’uragano Betsy, una tempesta devastante che aveva colpito New Orleans quando i miei genitori erano ancora giovani, negli anni ’60. L’acqua arrivò a livelli davvero alti e la gente fu costretta a salire sui tetti delle case. Quando vieni da New Orleans, le storie degli uragani fanno parte della tua infanzia, come le storie sui fantasmi. Ma né io né le mie sorelle avevamo mai vissuto un uragano di grande forza”.
“La mia famiglia era abituata alle evacuazioni. Devi esserlo, quando vivi a New Orleans. Mia madre cercava sempre di prendere i certificati di nascita, altri documenti importanti e le foto di famiglia; le mie sorelle i loro vestiti preferiti; io le mie videocassette, dove mia madre aveva registrato tutte le mie partite, sin da bambino. Non ha mai mancato ad una partita. Le filmava con la videocamera e poi le metteva su queste piccole videocassette. Non penso le producano più ormai. Non andavo mai via di casa senza le scatole delle scarpe con le mie videocassette dentro. Portavo con me sempre anche un paio di scarpe da basket. Fin quando le avevo con me, ero certo di poter giocare dovunque mi trovassi”.
“Dieci anni fa, stavo per iniziare il mio anno da senior alla high-school. Le persone dicevano che ero uno dei 10 migliori giocatori del paese. La mia high-school veniva da due titoli di stato della Louisiana; li avevamo vinti nel mio anno da junior e in quello da sophomore. Mi arrivavano un sacco di lettere dai college di tutto il paese, ma io avevo ristretto la mia scelta tra LSU e Texas. Era l’Agosto 2005. New Orleans, la mia città, non sarebbe stata più la stessa. Kathrina stava arrivando”. “…Prima di Kathrina, eravamo molto preoccupati dall’uragano Ivan, che tutti si aspettavano molto potente. Quindi, abbiamo evacuato la settimana prima che arrivasse Kathrina, e lo stesso successe la settimana dopo. Io e la mia famiglia lasciammo New Orleans per dirigerci verso Houston, con un intero convoglio di parenti dietro di noi in altre macchine. Era come in una parata. Solitamente ci vogliono 5 ore per arrivare a Houston; quella volta ce ne vollero 24. Sembrava che tutta New Orleans cercasse di scappare allo stesso momento”.
“…Ci fermammo in un hotel di Houston per qualche giorno, qualche nuotata in piscina e poi ritornavamo a casa. Sembrava come un viaggio di famiglia. Quando andavamo via per gli uragani, era anche quasi divertente, perché poi, alla fine, non succedeva nulla di grave. Come le precedenti evacuazioni, era stata solo una precauzione”. “Lasciatemi raccontare una storia su mio nonno. Per via di quello che era successo con Ivan, credo che molti abbiano sottovalutato Kathrina. Anche noi stavamo quasi decidendo di restare in città e di non andare via. Le persone anziane sono le più vulnerabili ma possono essere anche le più cocciute. Io adoro mio nonno, ma è davvero testardo. Quando arrivarono le prime notizie su Kathrina, lui non voleva assolutamente andarsene, perché credeva che, come con Ivan, non sarebbe successo nulla. E’ questo il problema del falso allarme. Noi ci preparammo come al solito e andammo a casa sua, con mio padre che cercava di fargli cambiare idea. Lui, allora, ci ingannò. Dopo aver aiutato mia nonna a salire in macchina, con una scusa rientrò in casa, e si chiuse dentro. Noi dovemmo prendere una decisione; lui non voleva andarsene ma noi dovevamo andare via. E’ stata una delle cose più difficili che abbiamo mai fatto. Kathrina divideva le famiglie ancor prima di arrivare”.
“Quando arrivammo a Houston, accendemmo la tv della nostra stanza d’albergo, e assistemmo allo spettacolo che tutti videro in quei giorni. Il nostro quartiere era completamente allagato, la nostra casa andata, le linee telefoniche fuori uso. Non riuscivamo a metterci in contatto con nessuno, quindi nostro nonno era come scomparso. Eravamo tanto preoccupati per lui, senza speranze, guardando tutto quello che stava accadendo. Mia sorella conosceva un agente di polizia di New Orleans, così andò letteralmente a casa sua e lo tirò fuori, portandolo al Superdome. Probabilmente gli salvò la vita con quel gesto. Ma, allo stesso tempo, le condizioni al Superdome erano terribili. Anche a 10 anni di distanza, non riesco a capire come sia stato possibile far stare la gente in quelle condizioni. Nessuno si prendeva cura di loro. Com’è possibile che una cosa del genere succeda negli Stati Uniti?”.
“Non riuscimmo a tornare a New Orleans per mesi. Nessuno poteva. Pensavo sempre ad un’anziana signora che viveva vicino a casa mia, morta per l’uragano. Crescendo, la vedevo tutti i giorni, perché tornava in macchina mentre tutti i ragazzi del quartiere giocavano a basket. Avevamo uno di quei canestri che potevamo tirare su quando serviva e giocavamo 5 vs 5 dopo la scuola, tutti i giorni. Ogni volta che passava una macchina, dovevamo fermarci ed aspettare. E questa signora ci metteva davvero tanto, perché guidava molto piano. Noi scherzavamo sempre con lei, le urlavamo dietro, ballavamo intorno alla macchina. Ma eravamo bambini e lei ci sorrideva sempre. Quando ritornai nel mio quartiere, lei non c’era più, le case non c’erano più, gli alberi erano stati sradicati. Non riconoscevo più il mio quartiere. New Orleans è una città piccola e tutti conoscono tutti. Negli anni ho parlato con un sacco di gente e ognuno aveva una storia diversa da raccontare”.
“A volte mi sono chiesto cosa fosse successo se Kathrina avesse colpito una città più ricca.Non so la risposta, ma so che la mia città è davvero povera. E dopo Kathrina è stato anche peggio. Sento che se l’uragano avesse colpito un’altra zona, le cose sarebbero andate diversamente. Molti cittadini di New Orleans hanno i miei stessi dubbi. Credono che, da un’altra parte, il caos del Superdome non si sarebbe verificato…”. “Ero felice che mio nonno e la mia fidanzata fossero salvi, che tutta la mia famiglia fosse salva. Ma la mia vita divenne strana all’improvviso. Dovetti iscrivermi ad una scuola di Houston e fu un grosso cambiamento per me… Era tutto completamente diverso. Non conoscevo nessuno a scuola. La gente era buona con me, alcuni ragazzi mi chiedevano addirittura di fare foto con me, ma adattarsi fu comunque difficile… Quella situazione durò per mesi. La cosa più strana fu che per mesi non toccai un pallone da basket.Ad Hightower finimmo per avere una buona squadra, arrivando in semifinale nel torneo statale. Con alcuni dei ragazzi sono in contatto ancora adesso. Sapete qual’era il nome della nostra mascotte? Gli Hurricanes. Non ti abitui mai a certe cose”.
“New Orleans non sarà mai più la stessa. Era uno dei posti più belli di sempre, e lo è ancora riguardo le persone. Non troverai mai da nessuna parte gente come quella di New Orleans. Tutti rispettosi, si aiutano l’un l’altro, c’è tanta creatività. Amo quest’aspetto di New Orleans. Ma per quanto riguarda la città in sé, so che non sarà mai più la stessa..”. “Per quanto mi riguarda, ho imparato a non dare nulla per scontato, l’ho fatto a 18 anni. Io e la mia famiglia sappiamo come ci si sente quando tutto ti viene portato via… Mia moglie ed io stiamo insieme da quando eravamo in terza media. Ci siamo sposati tre anni fa ed abbiamo due figli. Siamo rimasti uniti nonostante tutte le difficoltà, che abbiamo affrontato insieme. Kathrina ci ha divisi per un anno, non per sempre… Anche i riflettori della NBA sono qui adesso ma potrebbero andar via domani. Io ho ancora quelle videocassette. Ci sono tutte le mie partite dentro ma non posso più vederle su VHS. Ma non mi libererò mai di questa roba. Mi ricordano Kathrina e delle persone che abbiamo perso 10 anni fa”.