L'EDITORIALE - Il ballo dei debuttanti, sotto l'egida degli Spurs
C’è chi ha un piano in mente, da anni, e coltiva una filosofia di gioco che porta a vincere 5 titoli in 16 anni. Quella famosa mentalità Spurs che Popovich, coadiuvato dalla sapiente gestione delle risorse di R.C. Buford e dalla personalità di Tim Duncan in campo, ha saputo instaurare a San Antonio; una città non più attraente di tante altre negli States, che però è diventata meta ambita e apice della carriera di un giocatore, molto spesso. Eppure, la corsa all’anello, per un motivo o per un altro, non può vedere in modo schiacciante la superiorità degli speroni. Una superiorità legittimata da rinnovi contrattuali importanti (Leonard, Green), altri intelligenti (Duncan, Ginobili) e un arrivo importante, quello di LaMarcus Aldridge. Già, perché c’è pure chi non ha né piani a lungo termine, né ha sempre fatto scelte oculate e indirizzate, ma che ha forse trovato le congiunzioni giuste per arrivare fino in fondo.
Non si può non ripartire da Golden State. Il gruppo che ha vinto l’anello nella passata stagione è stato riconfermato in blocco, eccezion fatta per David Lee, che ormai era un elemento a margine nelle rotazioni di Steve Kerr. E se squadra che vince non si cambia, nemmeno a Oakland se lo sono fatti dire due volte. Eppure, i Warriors non hanno una storia vincente prima dell’anno scorso: in totale, due titoli, uno nel 1975 e l’altro lo scorso giugno, se non vogliamo contare gli altri due campionati vinti quando la franchigia, prima degli anni ’70, faceva base a Philadelphia.
Immediatamente dopo i Warriors, un passaggio va dedicato anche ai Cleveland Cavaliers. In Ohio si è acuita la voglia di vincere, dopo esser andati così vicini alla vittoria di un titolo, con una franchigia disastrata per i tanti infortuni occorsi durante la stagione e soprattutto ai Playoffs. Per David Griffin, gm dei Cavs, vale l’adagio di cui sopra, ma modificato: squadra che per poco non vince, non si cambia. Così, scatta l’operazioni “rinnovi folli”, su tutti quello che è stato sottoposto a Thompson (quadriennale da 80 milioni, ndr). Un front office, dunque, pronto a pagare la tassa per quest’anno, confidando di rientrare nei parametri di salary cap per la prossima stagione che vedrà l’innalzamento delle soglie in fatto di stipendi. Il tutto per poter dare la prima gioia della storia della franchigia ai tifosi dei Cavaliers.
Last but not least, per dirla come loro d’oltreoceano, ci sono i Los Angeles Clippers. Via la testa calda di Matt Barnes, ne arriva un’altra, Lance Stephenson, magari ridimensionata dopo l’esperienza poco felice a Charlotte. Poi, dopo un tira e molla da soap-opera, ecco che torna anche Jordan. Poi la firma di Paul Pierce. Poi quella di Josh Smith. Più una serie di gregari che dalla panchina possono dire la loro, come Aldrich e Wes Johnson. Insomma, che sia finalmente questa la quadratura del cerchio che manca da troppi anni per il lato meno glorioso di LA? Vedremo, ma le impressioni prestagionali sono ben più che positive, per provare a conquistare il primo titolo della propria storia.