ICYMI - Working Class Hero
T. Thompson, Iguodala ma soprattutto Matthew Dellavedova, che per lo staff fa ufficialmente Matt ma per gli amici fa Delly. La classe operaia racchiusa in 3 nomi, quegli stessi 3 nomi che stanno avendo un’incidenza fondamentale, quasi vitale per le loro squadre, all’interno di questa serie. I primi due difensivamente stanno riuscendo a contenere giocatori come Green, come LeBron e a tratti come Curry, visto e considerato che dopo il classico pick&roll centrale tra Draymond e Steph, il più delle volte è il centro canadese ad occuparsi dell’MVP. Non proprio a suo agio ma neanche completamente sprovveduto. Chi, invece, è quasi del tutto sprovveduto è il nativo di Maryborough, Victoria, lo stato più a sud del continente australiano. Non affronteremo la sua storia, non parleremo della sua formazione, del suo trascorso con i Saint Mary’s Gaels perchè probabilmente non vi diremmo nulla di entusiasmante. Avreste la stessa reazione nel vederlo in tenuta da gioco, estraniato da qualsiasi contesto: solito playmaker bianco, poco fisico, livello medio, tanta corsa ma non così interessante da affidargli le chiavi di una squadra in mano. Anche tecnicamente non è del tutto convincente: palleggio non sempre perfetto, visione di gioco abbastanza limitata, utilizzo dei blocchi rivedibile e così via. La lista dei difetti di Matt è lunga e si potrebbe continuare per ore e ore volendo. Chi però si ferma a questo tipo di considerazioni non vive il vero significato dello sport, non intende il concetto di “inappropriato” e soprattutto, cosa ben più grave, non ama Delly. Sì, perchè lo stesso giocatore che ha una sfilza di cose che non vanno, al momento gioca nello starting five di una squadra che lotta per il titolo NBA. Come? Molto semplice: travestendosi da supereroe.
C’è voluta più di una notte per metabolizzare, comprendere e prendere consapevolezza di quanto accaduto in gara 2. Ci sono volute due repliche per capire effettivamente di cosa è stato capace chi, indipendentemente dai primi della classe, aveva “all eyes on me“. Con Irving in un letto d’ospedale, dal quale tra l’altro segue la partita ed esulta per la vittoria, è toccato a lui, all’inadatto, all’inappropriato, al playmakerino aborigeno dai mille difetti. Il suo compito non era poi così complesso per essere un esordiente titolare nelle Finals. In fin dei conti doveva solo occuparsi della macchina da canestri più incredibile della Lega, doveva solo difendere sull’MVP, insomma doveva marcare Stephen Wardell Curry. Non svioliniamo le cifre dell’uno e dell’altro, abbiamo avuto modo di farlo nella giornata di ieri e basta e avanza un giorno per i gelidi numeri di una straordinaria gara 2. Oggi, dopo aver preso consapevolezza dell’esistenza di un supereroe, è il momento di lasciarsi andare alle travolgenti emozioni che Delly ci ha regalato, indipendentemente dalla nostra fede o dallo schieramento scelto per queste Finals. Il lato più piacevole di questa storia è la natura stessa del nostro supereroe: lo abbiamo soprannominato Working Class Hero, ovvero sia l’eroe della classe operaia. Anche se la società ci ha sempre abituati ad una visione idilliaca, quasi perfetta del ruolo di eroe, egli non sempre nasce come “individuo perfetto” ma, anzi, accresce la sua fama proprio quando passa dall’essere normale, come nel caso di Matt, all’essere straordinario. Il modo in cui controbilancia quella lunga lista di difetti con tantissime piccole cose, quelle che poi fanno la differenza, è unico, quasi mai visto in contesti così alti, in un ambiente spietato dove l’agonismo potrebbe risucchiarti in un vortice infinito se non ti dimostri duro quanto una roccia. Delly incarna perfettamente il concetto della Working Class, sempre pronto a lanciarsi sul parquet per guadagnarsi una 50-50 ball, sempre pronto a fare a sportellate anche contro il più lungo degli avversari, sempre pronto ad incollarsi al più pericoloso giocatore degli altri, sempre pronto ad aiutare i compagni di squadra e quasi devoto al sacrificio. Questi sono i superpoteri di Dellavedova, questi sono i punti di forza di un piccolo grande uomo che in gara 2 ha reso felice un continente intero, ha fatto esultare una Quicken Loans Arena stracolma, piena di fan che si sono riuniti per sostenere i propri beniamini. Ma la storia di un piccolo superpotere dovete concedercela. Mamma Leane è stata una giocatrice di Netball, uno sport che è simile alla pallacanestro ma con alcune regole differenti. Una delle più evidenti è che si gioca con due canestri senza i rispettivi tabelloni. Matt ha passato gran parte della sua infanzia a seguire la carriera di mamma Leane e ha cominciato a tirare, quindi, non in un canestro “normale” ma in un canestro da Netball. La difficoltà di realizzare è raddoppiata sia perchè non hai punti di riferimento sia perchè manca l’appoggio del tabellone. Ricordate quei due incredibili canestri nel quarto quarto di Delly? Quelle due “lacrime” che docilmente si spegnevano nel canestro dei Warriors senza toccare minimamente il ferro? Ecco, chissà che quei due fondamentali canestri per i Cleveland Cavaliers Matt non li abbia dedicati a sua madre che per la prima volta gli spiegò come segnare in quel modo. Comunque andrà la serie, comunque si chiuderà la stagione dei Cavaliers e dei Warriors, queste Finals ci hanno già regalato tanto, tantissimo: due partite super equilibrate, due overtime, giocate pazzesche da una parte e dall’altra e la consapevolezza che anche se si hanno dei limiti evidenti, anche se forse non si può arrivare al celestiale livello degli altri, anche se nessuno crederà fino in fondo in te, si può essere comunque un SUPEREROE.